Questa indagine dimostra che la presenza di Cosa nostra continua a essere attuale e vitale. E in zone come quella dell’agrigentino si connota per una rigidità estrema e per la chiusura delle strutture organizzative che cercano contatti con mandamenti di altre province e con personaggi calabresi per favorire traffici droga”.

E’ una mafia forte che mantiene caratteristiche antiche quella descritta dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi intervenuto alla conferenza stampa che ha illustrato l’operazione dei carabinieri che ha portato all’arresto di 58 tra boss e mafiosi dell’agrigentino.

Undici sono stati i provvedimenti di arresti domiciliari notificati, 49 le misure cautelari in carcere. Due indagati sono
latitanti. Nell’ambito dell’inchiesta sono state sequestrate sette società e sono stati trovati 240 mila euro in
contanti.

Ovunque ci siano possibilità di guadagno Cosa nostra tenta di inserirsi. Lo conferma l’indagine dei carabinieri. “Dall’inchiesta emerge anche un tentativo di organizzare nuovi centri di accoglienza per migranti: non è andato in porto perché non si sono completati gli iter. Ma la vicenda conferma come in un settore in cui arrivano soldi pubblici per l’accoglienza l’interesse di alcune aree di Cosa nostra è particolarmente attivo”, dice il procuratore di Palermo
Francesco Lo Voi che ha coordinato l’indagine.

“Ancora una volta – ha aggiunto Lo Voi – un’inchiesta dimostra che commercianti e imprenditori non riescono a sottrarsi all’imposizione del pizzo. Duole rilevare inoltre che una ventina di imprese hanno subito danneggiamenti che non hanno nemmeno denunciato. Questo conferma l’effetto intimidatorio che la mafia continua ad avere. Cosa nostra non sara’ piu’ quella di venti anni fa ma parlare della sua sconfitta e’ decisamente prematuro. Il lavoro da fare e’ ancora lungo”.

“Uno dei risultati da sottolineare di questa imponente indagine è che sono stati arrestati 15 capimafia, personaggi cioè di vertice dell’organizzazione”. Lo dice il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Guido che ha coordinato l’inchiesta sulla mafia agrigentina che ha portato a 58 arresti.

Sono finiti in manette personaggi storici di Cosa nostra come Francesco Fragapane, figlio del padrino di Santa Elisabetta Salvatore, detenuto al 41 bis.
Si definiscono il “fiore all’occhiello Di Cosa nostra”, i “puri” vestali delle tradizioni mafiose che i clan palermitani, molto criticati, avrebbero abbandonato. Rivendicano con orgoglio l’osservanza delle “regole” di Cosa nostra i boss agrigentini arrestati. Lo sottolinea il procuratore aggiunto Paolo Guido.

L’indagine ha accertato estorsioni, intestazioni fittizie di beni, un episodio di concorso esterno, uno di voto scambio,
traffici di droga e truffe a imprese sottoposte ad amministrazione giudiziaria. “Emerge – ha detto Guido – uno spaccato sociologico relativo a una ortodossia che ci riporta a 40 anni fa, perché alcune conversazioni intercettate rassegnano concetti che credevamo superati”. Particolare evidenziato anche dal procuratore Francesco Lo Voi che ha citato una intercettazione in cui i boss precisano che la mafia si chiama Cosa nostra. “E che – dice Guido – Cosa nostra è tutto ed esiste dall’inizio dei tempi”.