Ci sono quindici capi. Un sindaco. Venti attentati non denunciati e la volontà di ricostruire la Cosa Nostra. C’è tutto questo nell’operazione Montagna dei carabinieri di Agrigento con la quale è stato decapitato il vertice mafioso in una di quelle province dove l’organizzazione faceva affari e cercava di muoversi senza tanti clamori.

I militari hanno eseguito cinquantasette ordinanze di custodia cautelare emesse nei confronti dei vertici dei mandamenti e delle famiglie mafiose di “Cosa Nostra” agrigentina.

L’imponente blitz, ordinato nella notte dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo con il nome in codice “Operazione Montagna”, è stato eseguito da 400 militari, supportati da elicotteri, dallo Squadrone Eliportato Cacciatori Sicilia e da unità cinofile.

L’operazione ha di fatto disarticolato i mandamenti di Santa Elisabetta (Ag) e Sciacca (Ag), nonchè sedici famiglie mafiose della provincia. Arrestato, per concorso esterno in associazione mafiosa, il Sindaco di San Biagio Platani (AG).

Documentati stretti collegamenti con i vertici delle cosche di quasi tutta la Sicilia e con le ‘ndrine calabresi. Accertate anche estorsioni ai danni di 27 aziende ed un fiorente traffico di droga. Il pizzo veniva preteso anche dalle cooperative per la gestione degli immigrati richiedenti asilo. Sequestrate sette società. Decine di perquisizioni sono ancora in corso.

Alle 3 di notte, è scattato il blitz del Comando Provinciale Carabinieri di Agrigento. Un elicottero vigilava dall’alto, facendo rapidamente la spola tra Agrigento, Favara, Sciacca e il Monte Cammarata.

Imilitari, più i Carabinieri dello Squadrone Eliportato Cacciatori Sicilia ed unità cinofile per la ricerca di droga ed esplosivi hanno fatto simultaneamente irruzione in ville, appartamenti, case di campagna e casolari.

In pochi minuti, sono scattate le manette ai polsi di 57 pericolosi soggetti, perlopiù capi mandamento e capifamiglia di “Cosa Nostra” agrigentina. Quasi tutta la Sicilia interessata dall’operazione.

Pressoché l’intera provincia di Agrigento. Ma anche importanti centri alle porte di Palermo, Catania, Enna e Ragusa. I provvedimenti sono stati emessi su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo.

Le accuse sono, a vario titolo, quelle di associazione di tipo mafioso armata, finalizzata alle estorsioni, al traffico e spaccio di sostanze stupefacenti.

Vengono anche contestati l’intestazione fittizia di beni aggravata, lo scambio elettorale politico-mafioso, il concorso esterno in associazione mafiosa ed il favoreggiamento aggravato a Cosa Nostra.

I Carabinieri hanno anche sequestrato sette società, di fatto riconducibili ad alcuni degli arrestati. Nel corso della perquisizioni sono stati trovati in casa di uno degli affiliati 240 mila euro in contanti.

La vasta operazione di oggi è il frutto di una complessa e prolungata indagine dei Carabinieri del Reparto Operativo di Agrigento. Iniziata a fine 2013, è stata svolta con le più sofisticate tecnologie di intercettazione telefonica e ambientale, con sistemi di localizzazione satellitare e, soprattutto, con una instancabile attività di indagine vecchio stile, fatta di pedinamenti e servizi di osservazione, possibili solo grazie alla capillarità delle numerose Stazioni Carabinieri disseminate in tutta l’area montana della provincia.

Si può ritenere che, in un colpo solo, sia stato decapitato il vertice di Cosa Nostra agrigentina.

Le indagini hanno pienamente fatto luce sugli attuali assetti organizzativi e gestionali dei mandamenti mafiosi di Sciacca (AG) e di Santa Elisabetta (AG). Ma hanno anche documentato l’esistenza di un nuovo mandamento, quello, appunto, della “Montagna”, da cui, tra l’altro, prende il nome l’operazione.

Il nuovo mandamento è risultato essere il frutto di una scelta fatta nel 2014 dal 37enne Francesco Fragapane, figlio di Salvatore, quest’ultimo già capo provincia di Cosa Nostra agrigentina e da sempre in strettissimi rapporti con Totò Riina.

Il rampante erede, poco prima di essere arrestato, mise il mandamento di Santa Elisabetta nelle mani del 78enne Giuseppe Luciano Sposto, capo famiglia di Bivona (AG), annettendo di fatto tutte le compiacenti famiglie mafiose dell’area montana agrigentina.

È stata insomma fatta luce sui vertici di tutti i mandamenti agrigentini e delle sedici famiglie mafiose ad essi collegate. Sono stati infatti arrestati capi ed affiliati delle organizzazioni mafiose di Santa Elisabetta, San Biagio Platani (AG), Bivona, Cammarata e San Giovanni Gemini, Favara (AG), Raffadali (AG), Cianciana (AG), Sciacca, Casteltermini (AG), Castronovo di Sicilia (AG), Alessandria della Rocca (AG), Sant’Angelo Muxaro (AG), Palma di Montechiaro (AG), Capizzi (ME), Caltavuturo (PA) e Racalmuto (AG).

Le telecamere dei Carabinieri hanno registrato incontri e riunioni segrete, evidenziando la completa ed attuale interconnessione tra i capi mandamento, i boss delle famiglie mafiose di quasi tutte le province siciliane e persino esponenti delle ‘ndrine calabresi.

Emblematica è l’intercettazione captata durante un summit, nella quale i boss dicono: “la provincia di Agrigento è più seria…di palermitani ce n’era una decina affidabili…non ci sono più..io posso arrivare a Corleone che sono ancora persone con la testa sulle spalle. Persone che ti dicono una cosa e è una cosa!”. Così diceva il boss di Bivona Luciano Spoto, non sapendo di essere intercettato, a Giuseppe Quaranta, faverese, messo dagli storici capimafia Fragapane alla guida di un mandamento mafioso enorme che i picciotti chiamano “la montagna”.

Il “credo” mafioso di un tempo e i vecchi valori come il “rispetto” ricorrono spesso nelle conversazioni degli uomini d’onore registrate per anni dai carabinieri che, al termine di una lunghissima indagine, oggi hanno arrestato 58 tra padrini, gregari ed estortori dell’agrigentino.

“Sono 15 le persone arrestate a cui è stata riconosciuta dal gip il ruolo di capo di Cosa nostra”, ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido che più volte è tornato, in conferenza stampa, sulle caratteristiche della Cosa nostra agrigentina. Una mafia che parla un linguaggio antico, perpetua organigrammi tradizionali e si vanta di esistere “fin dalla storia del mondo”.

Ma non disdegna business nuovi, ha fatto notare il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Ovunque ci siano fondi pubblici su cui mettere mano i clan accorrono. Dall’inchiesta è emerso, infatti, che il capomafia di Cammarata Calogerino Giambrone avrebbe cercato di infilarsi nella gestione di una coop, la San Francesco di Agrigento, che si occupa di accoglienza di migranti.

Avrebbe curato la gestione di tutta la parte amministrativa relativa alle autorizzazioni comunali per regolarizzare l’immobile da destinare a centro di accoglienza, “con l’intento di ottenere, – spiegano i magistrati – quale corrispettivo dell’interessamento, l’assunzione da parte della cooperativa di persone vicine al clan e il pagamento di una somma in denaro da stabilire in percentuale sul numero degli immigrati ospitati nel centro”.

L’indagine dei carabinieri racconta anche le alterne vicende del mandamento. Dalla scarcerazione di Francesco Fragapane, figlio dello storico boss ergastolano Salvatore, capo di Santa Elisabetta, al suo ritorno al potere e alla ricostituzione di un maxi mandamento che ricomprende tutta l’area montana dell’agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini.

Prima di tornare in cella, Fragapane avrebbe nominato suo successore Giuseppe Quaranta che, però, non si sarebbe rivelato all’altezza e sarebbe stato sostituito dal cugino di Fragapane.

Cosa nostra, si legge dagli atti, non ha trascurato i vecchi affari per i nuovi e continua a “dedicarsi” alle estorsioni. Sono 27 i taglieggianti accertati: imprese, commercianti, negozi. Nessuna vittima ha denunciato.

Tra i reati contestati agli indagati, oltre al racket, all’associazione mafiosa, alla truffa a imprese sottoposte all’amministrazione giudiziaria e all’intestazione fittizia di beni, c’è anche una ipotesi di concorso in associazione mafiosa.

Ne risponde il sindaco di San Biagio Platani, Santino Sabella che è stato arrestato. Secondo i pm, concordava le candidature alle comunali con i boss della zona e condizionava gli appalti. L’indagine sotto questo aspetto ha confermato quello che da anni è un dato: il primato nel narcotraffico delle ndrine calabresi a cui i mafiosi agrigentini si rivolgevano per gestire l’affare. “La presenza di Cosa nostra continua a essere attuale e vitale”, ha ammonito Lo Voi. “Segno – ha detto – che i clan sono tutt’altro che sconfitti”.

Per quanto riguarda le estorsioni è emblematica la conversazione intercettata, in cui i capi famiglia affermano: “Certi negozi vogliono fatto lo sconto. Se dobbiamo prendere sempre il coltello, quelli saltano il vallone e se ne vanno dall’altra parte. In sostanza ci deve essere la molla…stringi e allarghi…come l’elastico!”.

Sono state infatti documentate richieste di pizzo ai danni di ventisette società appaltatrici di opere pubbliche di ingente valore. In dieci casi, la “messa a posto” è andata a buon fine.

La pretesa andava dai 2000,00 ai 20.000,00 euro. Per realizzarle, gli indagati hanno posto in essere i più disparati atti intimidatori, fino ad arrivare all’incendio doloso di diverse macchine operatrici. Le ditte prese di mira sono soprattutto quelle del settore edile e del movimento terra e vengono dalle province di Agrigento, Palermo, Caltanissetta, Messina, Enna e Ragusa.

I lavori erano stati commissionati da varie Amministrazioni comunali nei più disparati territori delle province di Agrigento, Palermo ed Enna. In un caso, la messa a posto è stata tentata nei confronti di una ditta incaricata dei lavori di manutenzione straordinaria della pavimentazione stradale sull’Isola di Lampedusa.

In tutti questi casi, preziosa è stata la totale sinergia tra i più specializzati organi investigativi dell’Arma e la estesa capillarità delle numerose Stazioni Carabinieri disseminate sul territorio.

Due dei tentativi di estorsione sono stati fatti addirittura ai danni di altrettante cooperative agrigentine impegnate nella gestione dei servizi di accoglienza per immigrati richiedenti asilo, nei confronti dei cui amministratori veniva pretesa, da un lato, l’assunzione di soggetti vicini all’associazione mafiosa e, dall’altro, una percentuale per ogni ospite.

Con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, i Carabinieri hanno anche arrestato il Sindaco di San Biagio Platani (AG) Santo Sabella.

È sospettato di aver preso accordi, in occasione delle consultazioni amministrative del maggio 2014, con i vertici della famiglia mafiosa del posto per concordare le candidature, sia a sostegno, sia contrapposte. Inoltre è accusato di aver garantito all’organizzazione agevolazioni nella gestione degli appalti pubblici banditi dal Comune.

Arrestato anche il marito di una Consigliera comunale di Cammarata (AG). L’accusa è quella di voto di scambio politico mafioso. È ritenuto responsabile di aver chiesto con successo, in cambio della promessa di future utilità, l’appoggio elettorale del boss mafioso del posto alle consultazioni amministrative del 2015.

La Direzione Distrettuale Antimafia, inoltre, ipotizzando gli estremi della intestazione fittizia di beni al fine di eludere l’applicazione della normativa in materia di prevenzione patrimoniale, ha disposto il sequestro preventivo, per un valore di circa un milione di euro, di sette società operanti nei settori edili e del movimento terra, nonché delle scommesse e della distribuzione delle slot machines.

Nel corso dell’indagine, i Carabinieri hanno infine accertato l’esistenza di un consistente traffico di droga. Cocaina, hashish e marijuana. Per riscontrare le accuse, i militari, in una circostanza, hanno arrestato un corriere con mezzo chilo di cocaina purissima nel portabagagli.

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