Un clan che si ‘nasconde’ che preferisce il ‘basso profilo’, che non vuole atti criminali eclatanti, anzi è lontano da bande armate e ‘santini’ bruciate col sangue degli affiliati, ma che diventa imprenditore.

E’ la ‘logica’ operativa della ‘cellula’ della cosca Santapaola di Catania attiva Messina, dove aveva finora agito in maniera ‘indiretta’, con alleanze locali. Che opera nel solco della linea avviata da Cosa nostra catanese: collocata all’interno dell’economia reale e delle relazioni socioeconomiche, con agganci in ogni settore della società che conta.

Una ‘entità’ capace di teorizzare, come emerge nelle intercettazioni, l’abbandono delle forme criminali violente e del rituale mafioso per gestire società di servizi, controllare in modo diretto appalti su scala nazionale, gestire il gioco illegale e le scommesse della massima serie calcistica, operare attraverso la corruzione e il clientelismo il controllo sull’attività di enti pubblici, attivare informatori in tutti gli uffici pubblici. E’ quello che emerge dalle indagini dei carabinieri dei Ros coordinate dalla Dda della Procura di Messina.

E’ una struttura criminale ‘moderna’ che ha sostituito i manager ai padrini e che opera per il profitto col “concorso esterno” delle squadre che sparano, più difficile da scardinare perché nascosta e infiltrata. Una cellula di Cosa nostra che rovescia il tradizionale rapporto dei ruoli tra società bene e società violenta rispetto per conseguimento degli scopi associativi della ‘famiglia’ mafiosa.

Che resta forte e riconosciuta negli ambienti criminali tanto che le bande di Messina ogni qualvolta si imbattono negli interessi dell’associazione si fermano, obbedendo. Singolare inoltre la sostituzione del ‘pizzo’ con altre forme di intervento economico, grazie anche a società che forniscono servizi alle imprese (come le cooperative nel settore dalle forniture alimentari) o gestiscono in subappalto la fornitura di prodotti parasanitari per conto delle Asl.

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