Povero Robert Allen Zimmerman, in arte Bob Dylan: all’annuncio del conferimento del premio Nobel dapprima ha provato a far finta di niente. Non rispondeva al telefono, non abitava più da nessuna parte, a chiunque lo incontrasse faceva gesti disperati per rimarcare “non mi hai visto”.

Di certo non poteva sputtanare l’immagine rigorosa del menestrello fustigatore delle malefatte del capitalismo americano e del cantore del Civil Rights Movement, accettando il premio assegnatogli da quei parrucconi in naftalina.
Ma in fondo quel riconoscimento così aristocratico nelle procedure, con la sua pingue dotazione finanziaria meritava un ripensamento.

Pronti via: giro del cappello, accettazione della scomoda testimonianza alla sua arte, impegno molto informale a presenziare, il 10 dicembre, alla consegna, magari dalle mani del Re.
Non vorrei apparire codino ma credo che i rapporti tra le persone debbano essere basati sul rispetto, anche quando le persone rappresentano un’istituzione magari lontana dal tuo modo di sentire.

Dal 13 ottobre al 10 dicembre intercorre un tempo sufficiente per riuscire a programmare un appuntamento riducibile a poche ore. Il suo tour a zig zag per gli Stati Uniti (“Never Ending Tour”, mai titolo fu più azzeccato) si concluderà la prossima settimana dopo di che gli resterebbero una quindicina di giorni per organizzare un mordi e fuggi a Stoccolma.
Ma, per rispetto al rispetto, è giusto rispettare anche il tempo privato del signor Dylan.

Una piccola possibilità di essere presente all’evento l’aveva ipotizzata quando, chiamando la segretaria permanente del premio Nobel, Sara Danius, con apprezzabile ironia aveva giustificato la sua latitanza dichiarando di essere rimasto “speechlees” (senza parole), ma che impegni permettendo avrebbe fatto il possibile per esserci. E puntualmente gli impegni non hanno dato il permesso.

Qualcuno alla notizia del premio dato a Dylan si era opposto celebrando le superiori qualità del mito mistico Leonard Cohen. Non so chi dei due meritasse di più il premio, quello che so che neppure Cohen si sarebbe presentato a Stoccolma. E non per mancanza di rispetto.

(*)Oscar Wilde, rifiutò un invito «causa impegni presi successivamente»