Il posto per l’agguato è perfetto. La via Falsomiele sotto la montagna in una zona senza telecamere e testimoni è il luogo ideale dove uccidere. I killer di Vincenzo Bontà non hanno lasciato nulla al caso.

Hanno atteso che i due uomini scendessero dall’auto e poi li hanno colpiti senza lasciare scampo. Dovevano morire. I colpi calibro nove li hanno raggiunti al torace e poi per Vincenzo il colpo finale alla nuca, per Giuseppe Vela bracciante agricolo, un colpo in faccia. Quest’ultimo ha cercato di fuggire, ma senza successo.

Segno che forse i killer era di più di due. Forse tre. Per gli investigatori Vincenzo Bontà avrebbero avuto un appuntamento con i killer. Vela si sarebbe trovato nel posto sbagliato con la persona sbagliata.

Gli investigatori sospettano che i due dovessero incontrare persone che conoscevano. Sarebbero scesi dall’auto su cui viaggiavano, che sarebbe stata parcheggiata e chiusa, e sarebbero stati colpiti a bruciapelo.

L’obiettivo dei sicari sarebbe stato Bontà, genero del boss Giovanni Bontade, ufficialmente senza un’occupazione ma proprietario di diversi appezzamenti di terra nella zona di Villagrazia, feudo della famiglia Bontade.

Vela, che lavorava nei terreni di Bontà, accompagnava l’amico, una sorta di guardaspalle che i killer non hanno risparmiato. Nonostante fosse incensurato, Bontà, dicono gli investigatori, aveva un suo peso mafioso, indipendente dall’eredità criminale lasciata dal suocero. Il padre, Nino, è stato condannato per associazione mafiosa ed è morto nel 2007. 

Un fratello di Vincenzo Bontà, Maria Gaetano, oggi libero era stato arrestato nel ’96 ritenuto il cassiere della cosca. Ma era diventato diacono; uomo di fede dedito ad aiutare i bisognosi e gli ammalati. Una vita irreprensibile. La sua vita fu ritenuta incompatibile con le regole dell’organizzazione criminale.

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