Aveva chiesto lo status di rifugiato all’Italia, ma per la procura di Roma e il Ros carabinieri Mohamed Farah, 24 anni, é uno dei pirati che nel 2011 abbordarono al largo della Somalia e sequestrarono per 10 mesi la petroliera italiana ‘Savina Caylyn’.

I 22 membri di equipaggio – 5 italiani e 17 indiani – furono vessati e seviziati e la compagnia armatrice pagò per liberarli e riavere la nave un riscatto di 11,5 milioni di dollari.

Il giovane é stato fermato nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) ‘Pian del Lago’ di Caltanissetta: confrontando le sue impronte digitali con quelle raccolte sulla nave si è arrivati a identificarlo. E’ accusato di atti di pirateria, sequestro con finalità di terrorismo e detenzione illecita di armi da guerra.

Il fermo, disposto dal pm romano Francesco Scavo, dovrà essere convalidato dal Gip di Caltanissetta. Farah era stato bloccato nel centro della città da agenti dell’ufficio immigrazione e portato nel Cpr su disposizione del questore Giovanni Signer, secondo quanto si apprende.

Il somalo era arrivato in Sicilia con un barcone, aveva presentato richiesta di asilo al Centro accoglienza richiedenti asilo (Cara) di contrada Pian del lago, ma non di residenza nella struttura. Circostanza insolita che ha insospettito l’ufficio immigrazione, dando il via ai primi controlli.

Gli esperti dei carabinieri hanno poi fornito la ragionevole certezza della corrispondenza delle impronte con quelle trovate sulla nave ed é scattato il fermo, al quale ha preso parte la Digos di Roma.

La petroliera ‘Savina Caylyn’ dell’armatore napoletano “F.lli D’Amato Spa” – gemella della “Enrica Lexie” sulla quale nel 2012 furono fermati in India i marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre -, fu assaltata alle 5.30 dell’8 febbraio 2011 nel Golfo Persico.

I pirati a bordo di un barchino spararono con un lanciarazzi Rpg e con armi automatiche e poi salirono sulla nave prendendone il controllo. Attraverso un mediatore, secondo quanto ricostruito dalla procura, chiesero un forte riscatto, quantificato alla fine in 11,5 milioni di dollari.

Le notizie delle violenze inflitte all’equipaggio – pestaggi, minacce di esecuzione, torture – portarono al pagamento della somma, lanciata in tre tranche dal cielo in contanti all’interno di pacchi.

Secondo gli investigatori il riscatto sarebbe andato in tutto o in parte a finanziare l’organizzazione terroristica islamista somala Al Shabaab, con la quale i pirati erano in combutta, e alla quale minacciavano di consegnare gli ostaggi.

Durante il sequestro oltre 60 banditi si sarebbero alternati a bordo della ‘Savina Caylyn’. Uno di loro era Farah: non vi erano infatti membri dell’equipaggio africani, viene sottolineato nel provvedimento di fermo, quindi le impronte trovate dagli esperti del Ris carabinieri non possono che essere del giovane. Individuato sei anni dopo in Italia, Paese al quale aveva chiesto di essere accolto come rifugiato.

Se la sua richiesta fosse stata respinta Farah sarebbe stato rimpatriato.