Domenica 4 dicembre alle 21 l’assemblea Montevergini invita la cittadinanza a partecipare alla proiezione del film-documentario “Fiori di fuoco” e all’incontro con il regista Riccardo Cannella.

Già da quasi due mesi, da quando il 7 ottobre un gruppo di cittadini informali ha “liberato” il Montevergini, proponendo una gestione partecipativa e orizzontale degli spazi pubblici da parte dei cittadini che vogliono prendersene cura, sul modello napoletano dell’uso civico e collettivo urbano, la domenica è il giorno dedicato all’arte cinematografica e al confronto con i registi.

Tanti sono infatti i registi che hanno sostenuto l’Assemblea Montevergini, con il loro contributo artistico e con la loro presenza: Franco Maresco (che ha permesso la proiezione de “Gli uomini di questa città io non li conosco”) Davide Gambino, Ruben Monterosso, Federico Savonitto, Salvo Cuccia, Piero Li Donni, Davide Vigore.

Questa domenica tocca a “Fiori di Fuoco”, documentario ambientato nel quartiere palermitano di Borgo Vecchio, presentato dal giovane regista palermitano Riccardo Cannella.

La storia è ambientata in un quartiere popolare, una periferia in pieno centro cittadino,che vive una marginalità economica e sociale che rafforza il senso di appartenenza alla comunità degli abitanti del Borgo Vecchio.
Il documentario si caratterizza per l’alternanza di due registri cinematografici: il primo basato su campi lunghi in cui si racconta il respiro quotidiano del quartiere popolare con i suoi mestieri, le sue attività, gli abitanti secondo l’idea di realizzare dei tableaux vivants; il secondo registro usa lo stile della camera a spalla con inquadrature sui dettagli della festa di Sant’Anna patrona di Borgo Vecchio: qui lo stile narrativo assume toni più concitati e il ritmo si fa più serrato.

“Il mio film documentario Fiori di fuoco vuole essere una “composizione musicale e ritmica” realizzata tramite l’alternanza di tableaux vivants che, con un approccio bruegeliano, ritrae il respiro di un quartiere popolare di Palermo, il Borgo Vecchio. La mia scelta registica adotta un linguaggio che, attraverso il campo lungo, colloca lo spettatore come un osservatore discreto e quasi defilato delle attività di un quartiere. Solo un simile sguardo può rispettare il fluire naturale della vita della borgata e, contemporaneamente, segnalare la difficoltà di entrare dentro una realtà distonica, in cui si cela un’armonia nascosta che il documentario intende portare alla luce. Il mio sguardo si contrappone eticamente, oltre che esteticamente, alle precomprensioni visive con cui si interpreta frettolosamente la dimensione di un quartiere popolare, come il Borgo Vecchio, da parte della cultura dominante e anche del cinema”