La longa manus della politica sui beni culturali siciliani. Dopo otto anni di assenza, proprio quando è stato definito il nuovo Consiglio Regionale dei Beni culturali, è spuntata all’improvviso una gran fretta di insediare un organo che ne faccia le veci in attesa del suo reinsediamento. Un organo, ci si può scommettere, funzionale alla “produzione” di un qualche parere che serve con urgenza e per il quale non si può attendere che si esprima il Consiglio stesso.

Apprendiamo, infatti, che è stato approvato in commissione Bilancio, col voto unanime di maggioranza e opposizione, un emendamento del deputato regionale Marika Cirone Di Marco, in quota Pd, con cui, la citiamo, “la Conferenza permanente dei soprintendenti integrata dai direttori dei parchi archeologici sostituirà il Consiglio Regionale dei Beni culturali per il tempo necessario alla sua definitiva costituzione”. Come mai, dicevamo, c’è proprio adesso l’urgenza di questa Conferenza “ad interim”, adesso che si avvia a conclusione (è notizia del 12 ottobre scorso) l’iter del provvedimento che ridefinisce la composizione del Consiglio Regionale BBCC, organo che nella Regione autonoma corrisponde al Consiglio BBCCPP presieduto nello Stato da Giuliano Volpe? Come mai ora e non durante i lunghi otto anni trascorsi dal suo ultimo insediamento, durante i quali si è potuto fare a meno del suo importante parere su questioni cruciali nel settore?

Per farsene un’idea basta andare a vedere cosa dice una delle leggi (L.R. 80/1977) che hanno definito l’architettura dei beni culturali nella Regione che ha competenza esclusiva in materia: “ (…) fornisce indicazioni per il censimento, l’inventario, la catalogazione e la fruizione dei beni culturali ed ambientali…; sui criteri di assunzione del personale scientifico, nonché sulla programmazione dei corsi di formazione, aggiornamento e specializzazione del personale; per quanto di sua competenza sulla programmazione della Regione ed esprime pareri circa la relativa attuazione; fornisce indicazioni anche in relazione all’elaborazione di eventuali proposte legislative concernenti la tutela dei beni culturali, il risanamento e la destinazione dei centri storici, la difesa e la valorizzazione delle coste, l’istituzione di parchi naturali ed archeologici, l’organizzazione di musei, gallerie e biblioteche e su ogni altra materia di competenza; formula proposte sui metodi ed i criteri generali relativi all’ordinamento ed al funzionamento dei centri regionali (…), nonché delle Soprintendenze; esprime pareri e formula proposte per la ricerca, la tutela e la valorizzazione dei beni naturali e culturali sottomarini. Il Consiglio esprime altresì pareri in materia concessione di scavi ad estranei alle Soprintendenze; partecipazione a manifestazioni e mostre che comportino trasferimenti di beni culturali; riproduzione di cimeli archivistici e bibliografici; acquisti ed interventi su e per i beni culturali di valore superiore a lire 300 milioni; concessioni demaniali che abbiano connessione con i beni culturali e ambientali di cui alla presente legge”. (art. 6).

Come si legge, il Consiglio esprime indicazioni e pareri praticamente su ogni spetto delle attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. La nuova composizione, come richiesto dalla Legge di stabilità regionale, ha ridotto da 54 a 15 membri (tra i quali un componente del Consiglio nazionale di cui sopra, docenti universitari, un esperto indicato della Fondazione Unesco-Sicilia, due componenti indicati dalla Consulta Regionale degli Ordini degli Architetti e degli Ingegneri, un componente indicato del consiglio degli Ordine degli Avvocati, etc.), snellendo in particolare la componente politica da 18 membri a 4. Un’articolata composizione pluralista che dovrebbe dare garanzia di imparzialità rispetto ai temi in discussione.

Da chi è, invece, composta la Conferenza? Da soprintendenti e direttori dei parchi archeologici, che sono, come noto anche a illustri commentatori nazionali, soggetti allo spoil system. Quali soprintendenti e quali direttori dei parchi vi faranno parte?

C’è una cosa su cui sono d’accordo Salvatore Settis e Giuliano Volpe, su fronti opposti sulla riforma ministeriale che sta ridisegnando l’assetto storico dei beni culturali in Italia e sul referendum costituzionale, ed è il fatto che entrambi riconoscono un’eccessiva prossimità delle strutture tecnico-scientifiche del Dipartimento siciliano dei Beni culturali a un potere politico che ne condiziona pesantemente l’indipendenza. Causa questa del fallimento che senza sconti assegnano alla gestione di uno dei patrimoni più importanti al mondo, e proprio nella Regione in cui è nata la tutela.

La tutela, lo si dimentica troppo spesso, non nasce genericamente in Italia! Ma in Sicilia, dove con l’atto emanato il 21 agosto 1745 dal «Tribunale dell’Ordine del Real Patrimonio di Sicilia» per la prima volta nella storia si accostavano in un unico documento di salvaguardia un pezzo di patrimonio, le antichità di Taormina, e un sito naturalistico, il bosco del Carpineto e il Castagno dei Cento Cavalli, oggi nel parco dell’Etna.

Silvia Mazza

Storica dell’arte e giornalista de’ Il Giornale dell’Arte

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