“Non ci interessa la retorica, la liturgia ripetitiva. Perché 24 anni dopo Capaci e 24 dopo via D’Amelio, il rischio c’è. Come per certa antimafia da operetta”.

Così Mimmo Milazzo, segretario della Cisl Sicilia, a quasi un quarto di secolo dalle stragi mafiose. Era il 23 maggio del 1992 quando un’esplosione devastante mandò per aria, sulla A29 nei pressi di Palermo, la Fiat Croma in cui viaggiavano il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Rocco Dicillo, Vito Schifani e Antonio Montinaro. Quasi due mesi dopo a perdere la vita furono, con Paolo Borsellino, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Agostino Catalano. Un’ecatombe. Ma il cui anniversario, sostiene Milazzo, “non può essere una mera occasione formale, dentro e fuori dal palazzo.

L’ennesimo show”. Piuttosto, “deve declinarsi assieme a politiche per lo sviluppo, a un piano regionale per l’occupazione. Alla diffusione della cultura della legalità e a interventi fondamentali per prosciugare l’humus in cui la mafia alligna: dalla riforma della pubblica amministrazione e della macchina delle istituzioni a quella di settori strategici come formazione, Partecipate, acqua ed energia, per non parlare di rifiuti”. Politiche che in Sicilia mancano all’appello e per le quali, ricorda la Cisl, il 7 maggio i sindacati siciliani sono scesi in piazza a Palermo, per la prima volta dal 2012, lanciando l’hashtag #LaSiciliaAffonda.

Sono le politiche per la crescita, contro la povertà e per la legalità, il miglior modo per ricordare i morti di Capaci e via D’Amelio e con loro tutti i caduti nella guerra ai clan, insiste Milazzo richiamando la mobilitazione antimafia che nel 1992 vide protagoniste Cgil Cisl e Uil. A Palermo, il 27 giugno di quell’anno, a un mese da Capaci, per iniziativa dei confederali arrivarono centomila persone da tutta Italia e non solo, con novecento pullman, dieci treni, sei aerei e sette navi. Fu una pacifica e assordante invasione all’insegna dello slogan “L’Italia parte civile”.

“Le cronache giudiziarie – prosegue il segretario – raccontano che la mafia è sia fenomeno globale incentrato su grandi interessi finanziari, sia presenza forte nel territorio”. L’eccellente lavoro svolto da forze dell’ordine e magistratura, in questi anni ha consentito di raggiungere risultati importanti nel contrasto a Cosa nostra. Ma “per estirpare davvero il cancro mafioso dalla Sicilia, occorre eliminare il bisogno personale e sociale di lavoro. E va fermato il meccanismo perverso per il quale gli imprenditori collusi, che si sentono al sicuro, non pagano contributi e abbattono i costi ignorando ogni sistema di sicurezza; con il lavoro nero vengono riciclati soldi sporchi e si creano forme di schiavitù nascosta. La corruzione che fa da sfondo, succhia risorse pubbliche e impedisce la crescita di un’economia sana e duratura”.

Ma per la Cisl Sicilia, c’è un’altra questione aperta cui la memoria dell’attentatuni,~per usare le parole del killer di mafia Gioacchino La Barbera, impone di dare soluzione urgente. Tanto più alla luce del trentesimo anniversario, quest’anno, del maxiprocesso di Palermo che segnò una svolta nell’atteggiamento antimafia delle istituzioni. È il tema dei beni confiscati. Meglio: la necessità di riformare la gestione dei beni confiscati. “Le aziende sottoposte ad amministrazione giudiziaria spesso falliscono – rileva Milazzo – per l’incapacità di confrontarsi col mercato e per l’incompetenza di chi è chiamato a guidarle, come emerge pure da vicende recenti”. La Cisl chiede che i beni confiscati ai boss siano restituiti realmente alla società e al territorio, perché siano occasione per promuovere legalità e, assieme, fondamentale leva di rilancio economico e sociale.

(Nella foto: Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Antonino Caponnetto)