Palermo ricorda il giudice istruttore Rocco Chinnici, i carabinieri della scorta Mario Trapassi e Salvatore Bartolotta ed il portiere dello stabile di via Pipitone Federico, Stefano Li Sacchi, nel 34esimo anniversario della strage mafiosa messa a segno il 29 luglio 1983 nel capoluogo siciliano con un’auto bomba.

La giornata dedicata al ricordo è stata aperta dalla tradizionale deposizione della corona di fiori sul luogo della strage. Alla commemorazione partecipano Antonio Balsamo, Caterina Chinnici, Giovanni Chinnici, Donato Di Trapani, Antonio La Spina, Francesco Petruzzella e Tullio Del Sette Comandante generale dell’Arma dei carabinieri.

Affida a una nota il suo ricordo il Presidente del senato Pietro Grasso. “Un altro ricordo doloroso. 29 luglio 1983, Via Pipitone, Palermo: la mafia uccide con un’autobomba Rocco Chinnici e, con lui, il maresciallo dei carabinieri Mario Trapassi, il brigadiere Salvatore Bartolotta, il portiere dello stabile in cui abitava il giudice, Stefano Li Sacchi. Chinnici fu tra i primi a capire la dimensione e la peculiarità della mafia. Fu proprio lui, ad esempio, a insistere per il coordinamento delle indagini su ‘cosa nostra’, l’unico modo per poterla combattere in modo efficace: fu l’inizio del famoso pool antimafia di Falcone e Borsellino, quello che pochi anni dopo portò alla sbarra la Cupola nel maxiprocesso. “Papà Rocco” mi ha insegnato molto: io – come altri giovani magistrati che lui amabilmente chiamava “i plasmoniani” – ho imparato tantissimo da questo incorruttibile uomo, profondamente innamorato del suo lavoro e sinceramente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata”.

Parla di ricerca della verità Caterina Chinnici figlia del magistrato ucciso, magistrato in aspettativa ed oggi europarlamentare “L’importante e non abbassare la guardia e proseguire nelle linee tracciate da mio padre. Quelle linee si sono rivelate vincenti. In questi anni abbiamo parlato tanto di  legalità. Non basta solo parlarne dobbiamo porci come modelli credibili di legalità. La lotta contro la criminalità organizzata non è persa, non è stata vinta per questo non bisogna abbassare la guardia e proseguire in questa linea”.

“Sta emergendo quello che si è verificato negli anni. C’è un’antimafia seria di impegno vero e reale. E poi c’è un’antimafia di facciata. Il fatto che in questo periodo sta emergendo questa seconda non può che essere positivo per sgombrare il campo da quella di facciata e puntare su quella che vede come protagonista non solo le forze dell’ordine e della magistratura, ma un contesto più ampio di cittadini e associazioni di giovani su cui io punto molto per il cambiamento di questa città”.

E’ duro Giovanni Chinnici, l’altro figlio di Rocco “Papà certamente fu lasciato solo ed isolato in momento in cui la sua azione non vene compresa ma venne anche osteggiata da parte delle istituzione che in quegli anni erano in combutta con la criminalità organizzata. Certo Leggendo oggi certe pagine scritte da papà si vede come molte delle sue idee sono molto attuali. Mio padre inaugurò quella figura di magistrato come la intendiamo oggi. Non un funzionario dello Stato, ma un uomo che scende nel sociale che si confronta con il sociale e parla ai giovani. Il messaggio più importante lasciato da mio padre”.

“Mio padre ebbe due intuizioni – agiunge Giovanni Chinnici – Negli anni 70 una mafia che cambiava pelle che diventava superpotente grazie ai proventi del traffico di stupefacenti che lui comprese questa trasformazione e capì che il singolo magistrato non poteva riuscire ad essere efficace e creò questo gruppo di lavoro che sarà chiamato pool antimafia dove chiamò Paolo Borsellino e Giovanni Falcone. Questa fu la prima grande intuizione. La seconda intuizione giudiziaria  fu quella di colpire i patrimoni, le ricchezze a partire dal 1982 con la legge Rognoni La Torre iniziò a lavorare moltissimo sulle indagini  bancarie e sul contrasto patrimoniale che oggi sappiamo è lo strumento più importante nella lotta contro la criminalità organizzata. Infine ci fu l’idea di comunicare tutto questo ai ragazzi. In anni in cui neanche si sapeva dell’esistenza della mafia. Lui andò nelle scuole a spiegarlo ai giovani”.