Primi a declamarne il de profundis, ultimi a provvedere all’abolizione, primi a resuscitarle. E’ il percorso tormentato delle Province siciliane che dopo il via libera dell’Ars quasi quasi riprendono corpo attraverso il voto diretto che stabilirà l’elezione dei sindaci delle tre Città Metropolitane (Palermo, Catania e Messina) e dei presidenti dei Liberi Consorzi.

Un quinquennio tribolatissimo per gli enti di area vasta cominciato in piena era Monti con il famoso annuncio televisivo di Rosario Crocetta a cui seguì il passaggio a Sala d’Ercole che diede vita al cosiddetto ‘modello Sicilia’ in cui i 5 Stelle votarono a favore della riforma.

In politica cinque anni sono un’era geologica e ad onor del vero, allora quando la crisi mordeva più di adesso, un po’ tutti additavamo le Province come simbolo di quei ‘carrozzoni’ della politica che servivano soprattutto alla ‘casta’.

I fatti, non solo in Sicilia, hanno dimostrato che non era esattamente così. Le Province, nel resto d’Italia, furono ‘liquidate’ dal governo Letta fra l’entusiasmo generale e i pochissimi dubbi di alcuni burocrati che avevano capito come la riforma era stata pensata male e sarebbe stata applicata addirittura peggio visto che la ‘Delrio’ era una norma ponte in vista del referendum dello scorso dicembre che ha avuto un esito differente rispetto a chi aveva impalcato il tutto.

Ad impantanarla ulteriormente sono stati poi gli italiani che votando ‘no’ al referendum del dicembre scorso hanno aperto una breccia sulla ‘Delrio’ che è rimasta una riforma a metà. Va detto, infatti, che per abrogare del tutto le Province c’è bisogno di una legge costituzionale che intervenga sulla Carta abolendole ‘ex abrupto’ e non svuotandole solamente degli organismi elettivi così come previsto dalla riforma Delrio.

Anche in altre parti del Paese il passaggio si è rivelato tormentato a causa del taglio dei finanziamenti e all’esplosione di consorzi, autorità e ambiti territoriali, ma è stato comunque meno doloroso di quanto avvenuto in Sicilia dove non sono bastati quasi cinque anni per completare del tutto la riforma e dove non si è giunti mai alle elazioni di secondo livello.

Gli effetti, a differenza di altre regioni, si sono visti anche sulle competenze: basta ricordare le immagini delle scorso inverno (per carità, rigidissimo) degli studenti infreddoliti nelle classi delle scuole superiori a causa dei mal funzionamenti degli impianti di riscaldamento o dell’assenza di gasolio. Non passano poi inosservate le proteste di tanti dipendenti e la crisi di alcune partecipate collegate alle ex Province.

Bisognerà capire se la nuova legge partorita ieri dall’Ars subirà l’impugnazione dal Cdm proprio per effetto della Delrio, ma quanto stabilito a Sala d’Ercole rischia di avere una ricaduta anche in Continente dove sono in tanti (nei vari territori) a mugugnare per la situazione di stallo post referendum che si vive nelle Province. Così se da un lato la Sicilia potrebbe laurearsi capofila della controriforma a livello nazionale, il rovescio della medaglia, ha il fascino perverso e gattopardesco del ‘cambiare tutto perché nulla cambi’.

La vera e nuova scommessa, comunque, è pensarle in modo diverso e non solo come un escamotage per soddisfare le ambizioni delle segreterie politiche a cui servono altre poltrone.

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