Ritorna alla luce una splendida tela di Scuola Napoletana che giaceva abbandonata nella quadreria di Palazzo Alliata di Villafranca. Rotary ed Inner Wheel hanno finanziato il restauro affidato al responsabile per la conservazione dell’Arcidiocesi, Mauro Sebastianelli: “I musici” è così tornato alla vita, complici i colori vividi e lo stile molto interessante. Sebastianelli, con l’aiuto di Maricetta Di Natale, ha anche azzardato un’attribuzione, poi convalidata via via che si definiva il restauro: la tela è di Gaspare Traversi, importante nome settecentesco che amava ritrarre scene private, di genere, spesso popolate da attori, musici, popolani, dando vita a veri pamphlet di costume sulla gente.

“I musici” verrà presentato giovedì 5 maggio alle 18,30 a Palazzo Alliata di Villafranca (piazza Bologni, a Palermo) da Maricetta Di Natale, ordinario di museologia e storia del collezionismo presso l’Università di Palermo, e da Mauro Sebastianelli. Il restauro del dipinto, di proprietà del Seminario Arcivescovile che possiede Palazzo Alliata, è stato finanziato dai Rotary Club Palermo Ovest (presieduto da Roberto Tristano) e Palermo Sud (presieduto da Marisa Scuderi) e dall’Inner Wheel Palermo Centro (presieduto da Alessandra Criscuoli) che hanno voluto così confermare “il loro costante impegno di servizio a favore della comunità che, pur essendo rivolto alle iniziative di solidarietà, non trascura le attività culturali, di conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico”.

Dopo la presentazione, la tela entrerà nel percorso di visita del Palazzo settecentesco, che apre – su iniziativa dei volontari dell’associazione Palazzo Alliata di Villafranca onlus” – dal venerdì al lunedì dalle 10 alle 17,30 (info: 324.0715043). Tra arredi d’epoca perfettamente conservati, stucchi, maioliche, mobili, la Stanza Rosa in cuoio e la Stanza del Tè, si scoprirà una splendida collezione d’arte in cui figurano già la celebre “Crocifissione” di Antoon Van Dyck, due tele di Matthias Stom e due opere di Pietro D’Asaro.

“Un importante capolavoro – spiega Mauro Sebastianelli -, la cui vera particolarità sta nella cosiddetta scena di genere, particolare genere nato nel corso del XVI secolo e sviluppato rapidamente in tutta Europa – dai fiamminghi Pieter Brughel il Vecchio e Johannes Vermeer all’italiano Annibale Carracci – fino a culminare proprio nel ‘700, epoca a cui risale la tela.

La pittura di genere è di solito a carattere privato, rivolta soprattutto alla borghesia e ai mercanti, quasi in opposizione alle tradizionali iconografie sacre e storiche dei nobili. Si tratta spesso di scene di vita quotidiana intime, veritiere che mettono a fuoco una realtà priva di censure. Dai mercati ai mestieri, alle faccende domestiche, agli oggetti di uso ordinario, ma sono frequenti anche soggetti più spregiudicati come musici o giocatori d’azzardo, bevitori e mendicanti e non a caso artisti come Gaspare Traversi traevano spesso ispirazione dal teatro. Non un genere minore quindi, ma la riscoperta di un tipo di rappresentazione di valore sociale e antropologico”.

Gaspare Traversi (Napoli 1722 – Roma 1770), sin dai suoi primi lavori, ancora a bottega, si mise in opposizione alle tendenze «ufficiali» dell’ambiente napoletano, indirizzandosi verso una resa naturalistica e psicologica della realtà. A causa dei difficili rapporti con artisti e committenti napoletani, Gaspare Traversi si trasferì, intorno al 1752, definitivamente a Roma, a Trastevere. E’ qui che viene a contatto con l’umanità non serena, reale, spesso misera che si ritroverà spesso nelle sue tele. Accanto alle opere di carattere sacro e iconografico, che spesso gli venivano commissionate da chiese e parrocchie, Traversi lancia una pittura forte, “scene di genere” appunto, in cui si risentono le influenze caravaggesche e che avevano come soggetti classi popolari o alte, senza distinzione.

Come scrive Nicola Spinosa, “Gaspare Traversi presenta scene tratte dalla vita d’ogni giorno, dai salotti di ricchi borghesi parvenu con aspirazioni nobiliari, ai miseri interno d’osteria con avventori rissosi, vecchi ubriaconi, mezzane proterve e giovanotti sprovveduti, dall’interno di qualche basso con comari compiacenti e ragazzotte intristite o da un angolo di strada frequentato da frati avvinazzati e legulei senza scrupoli, da ragazzini ridanciani e da cicisbei rammolliti; venivano messi a fuoco, meglio che in un trattato sulla situazione economica del paese o in un pamphlet sui costumi della gente e sulle sue necessità, i mali, le rinnovate aspirazioni, le continue delusioni, i laceranti contrasti, le persistenti contraddizioni di una realtà che poteva essere solo quella della Napoli settecentesca o di alcuni quartieri periferici romani”.

Tra le sue tele, “La poppata”, “La lezione di disegno”, “La rissa”, “Il mendicante cieco” e “La vecchia e lo scugnizzo” conservata alla Pinacoteca di Brera. L’ultima sua opera conosciuta, del 1770, è il “Ritratto di canonico”, in cui l’espressione cupida del vecchio sacerdote stigmatizza l’immagine di un clero corrotto ma potente, fra i principali bersagli della critica illuminista.

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