“Le dimensioni della tragedia sono molto più grandi di quel che si possa descrivere”. I cronisti si resero subito conto che nel Belice, cinquant’anni fa, il terremoto aveva provocato un immane disastro. Uno “spappolamento del tessuto umano” lo definì Roberto Ciuni nel suo reportage dai paesi distrutti.

Non diverso era il taglio dei resoconti degli altri giornalisti che si muovevano, con mezzi di fortuna, tra morti, macerie, fango e un popolo disperato.

Accompagnati da immagini strazianti diventate storiche, quei racconti vennero, quando ancora la macchina dei soccorsi
arrancava tra mille difficoltà, raccolti in un libro – ’68 terremoto in Sicilia – edito da Andò e curato da un giovanissimo Giuseppe Carlo Marino che sarebbe poi diventato uno storico dell’Università di Palermo.

Mezzo secolo dopo un editore del Belice, Angelo Mazzotta di Castelvetrano, lo ha ripubblicato riproponendo integralmente le pagine emozionanti scritte da Leonardo Sciascia, Nicola Adelfi, Orazio Barrese, Anselmo Calaciura, Felice Chilanti, Marcello Cimino, Roberto Ciuni, Francesco Campagna, Mario Farinella, Giorgio Frasca Polara, Ugo Mannoni, Giuseppe Quatriglio, Giuseppe Servello.

Le foto in bianco e nero di Nicola Scafidi, Ninni Mineo e dell’agenzia ANSA sono documenti di vita e di morte. Non riprendono solo i ruderi e le ferite al tessuto urbano di paesi e villaggi. Fissano l’obiettivo anche sulle file dei terremotati che aspettano la distribuzione del cibo e delle tende, le donne avvolte nelle coperte portate via dalle case abbandonate dopo le prime scosse, famiglie che vivono con dignità il dolore per avere perso tutto, i volti impauriti dei bambini.

In due foto c’è tutto il dramma di “Cudduredda” che commosse tutto il mondo due volte: prima quando la bambina fu estratta viva dalle macerie e poi quando due giorni dopo morì in ospedale.

Le testimonianze di cronisti e scrittori, le immagini di una grande tragedia individuale e collettiva, le ferite al paesaggio e al patrimonio artistico ponevano sin dal primo momento l’urgenza della rinascita. E invece, scrive Marino, aprivano il lungo periodo del post-terremoto fatto di cambiamenti radicali nel tessuto sociale e urbanistico, sprechi, ritardi, speculazione, malaffare. Tutti i mali di una “ricostruzione infinita” che cinquant’anni fa quei poveri cristi rimasti senza casa non potevano neppure immaginare.