Dopo la denuncia sul mancato insediamento, dopo sette anni di assenza, del Consiglio regionale dei Beni culturali e ambientali, e sulle manovre politiche per ritardarne ulteriormente la ricostituzione, Silvia Mazza, giornalista e storica dell’arte che aveva lanciato la denuncia su BlogSicilia, ha consegnato a un’inchiesta su Il Giornale dell’Arte, rilanciata da Emergenza Cultura, un esempio concreto degli esiti causati dal mancato insediamento di quest’importante organo in un settore strategico nell’ambito della tutela e della valorizzazione del patrimonio della Regione.

Quello che ne emerge è un quadro a dir poco caotico dei parchi archeologici, per lo più ancora in via di istituzione o già istituiti, come quelli della Valle dei Templi, Naxos e Selinunte, che gestiscono autonomamente gli introiti, cosa che li sottrae, peraltro, e come avviene invece, per tutti gli altri istituti incardinati nell’Assessorato BBCCIS, all’assurda confluenza nel calderone indistinto del Bilancio regionale.

Così, si scopre che la legge 20/2000 in base alla quale dovrebbero essere istituiti questi enti, in grado di innescare anche lo sviluppo economico dei territori in cui ricadono, è stata finora interpretata in modo variabile, dalla carenza del parere del Consiglio dei Beni culturali al decreto di perimetrazione dei parchi che una volta c’è, l’altra no; o che uno dei più importanti parchi, per storia, patrimonio e valori paesaggistici, quello della Neapolis a Siracusa è stato inquadrato dalla riorganizzazione amministrativa del luglio scorso come un museo, e non come un parco, appunto; fino ad arrivare al caso di Segesta che, seppure non sia mai stato istituito, ha un dirigente di «servizio» , proprio come per quelli effettivamente istituiti.

In attesa di sapere se il presidente Crocetta nominerà il Consiglio dei Beni culturali, abbiamo cercato di capire meglio con Silvia Mazza perché quest’organo sembri proprio non piacere agli ultimi corsi politici.

«Sa perché il Consiglio decaduto l’8 giugno 2009 non è più stato ricostituito dai governi Lombardo e Crocetta? Perché si tratta di un organo consultivo altamente scomodo, che esprime indicazioni e pareri praticamente su ogni aspetto delle attività di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, come pure, negli ambiti di sua competenza, sulla programmazione della Regione e la relativa attuazione, ma anche sul risanamento e la destinazione dei centri storici o la difesa e la valorizzazione delle coste. Scomodo – continua Mazza – perché la sua composizione pluralista non mette al riparo dal dissenso chi si è adagiato nell’esercizio monocratico del potere. Il riferimento non è solo all’assessore ai Beni culturali, ma al presidente della Regione. Perché a differenza dell’omologo organo presente nello Stato, che è consultivo del ministro, quello regionale non è solo consultivo dell’assessore (che nella regione autonoma corrisponde al ministro), ma proprio del presidente, che lo nomina con suo decreto, che lo presiede, che lo convoca «almeno una volta ogni trimestre e comunque tutte le volte che il presidente lo ritenga necessario o gliene sia fatta richiesta da almeno un terzo dei componenti», come recita una delle due leggi con le quali quarant’anni fa è stato costruito un sistema dei beni culturali alternativo a quello dello Stato, la L.R. n. 80/1977. È come se il Consiglio superiore dei Beni culturali ed ambientali fosse convocato non dal ministro Franceschini, ma dal presidente del Consiglio Gentiloni.
Questo significa, però, anche un’altra cosa – spiega la storica dell’arte -. Che il Consiglio siciliano, a differenza di quello dello Stato, è dichiaratamente (lo stabilisce la legge regionale) tenuto a vista dal Presidente della Regione. Quanto meno singolare per un organo consultivo a carattere tecnico-scientifico. E, infatti, questa definizione riguarda l’altro Consiglio, quello MiBACT (Dpcm 29 agosto 2014, n. 171, art. 25, c. 1), non quello siciliano. La legge del ’77 ne indica la composizione, le funzioni, ma non lo definisce. Questa prossimità di «tecnici» e politica non depone certo bene per una Regione alla quale il Rapporto sulla corruzione politica del Paese, realizzato dalla Fondazione Res (Istituto di Ricerca su Economia e Società in Sicilia), assegna il terzo posto, dopo Campania e Lombardia. Eppure, malgrado questo, da sette anni non si ha la volontà di reinsediarlo.

Nemmeno ora che un segnale incoraggiante sembrava venire dalla ridefinizione della sua composizione stabilita a metà ottobre scorso, che ha ridotto, come richiesto dalla Legge di stabilità regionale, da 54 a 15 i suoi membri. Se quella originaria era pletorica, dobbiamo osservare, però, che quella nuova non prevede più la presenza di un rappresentante dell’associazione «Italia nostra», o, in ogni caso, di un’altra associazione ambientalista, come Legambiente, il cui legale, avete visto dalla mia inchiesta, delinea scenari giuridici che non fanno sconti alla mala politica e alla mala amministrazione. D’altro canto, considero invece molto opportuna la new entry di un componente del Consiglio superiore, in conformità con la stessa legge del 1977. All’art. 7, quest’ultima, infatti, recita: “In considerazione dell’interesse nazionale connesso alla tutela ed alla valorizzazione dei beni culturali della Regione, ed al fine di garantire omogeneità di indirizzi a livello dell’intero territorio nazionale, il Consiglio regionale chiede pareri al Consiglio nazionale dei beni culturali ed ambientali in materia di concessione di scavi ad estranei alle Soprintendenze, nonché su tutte le questioni per le quali lo ritenga opportuno”.

A margine della denuncia del mancato insediamento ad oggi di quest’importante organo, la storica dell’arte tiene a sottolineare una riflessione: «La competenza esclusiva della Regione in materia di beni culturali non deve essere sinonimo di gestione autarchica, tale da condividere l’auspicio di ricondurla in capo alla Stato, espressa da personalità come Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore BBCC, e da Salvatore Settis, che nel 2009 si dimise da questo incarico in dissenso con l’allora ministro Bondi, il che dovrebbe far riflettere sui margini di autonomia concessi (o meno) a quest’organo anche nello Stato. Il su richiamato art. 7 della legge n. 80/77 è proprio una risposta a quel passaggio in cui, in Patrimonio al futuro, Volpe afferma che “il patrimonio culturale e paesaggistico richiede politiche omogenee a livello nazionale!” o quell’altro, nell’ultimo volume Un patrimonio italiano, dove tornando sulla questione la stigmatizza con un’altra interiezione, “L’articolo 9 parla di Repubblica e di Nazione e non sembra escludere la Sicilia!”. Corsi politici più recenti sembrano esserselo dimenticato, è vero, non era stato così, però, per il padre fondatore dell’autonomia nel settore, Alberto Bombace, primo dirigente regionale dell’autonomo Assessorato BBCC, che nel 1991 scriveva “noi siamo fortemente convinti che, pur avendo una competenza specialissima nel settore, dobbiamo più che mai raccordarci con lo Stato, per un’unitarietà di indirizzo metodologico e scientifico”. Che si riparta anche da qui».