Bancarotta fraudolenta e distrazione di somme pari a circa 4 milioni di euro dietro al fallimento della società che doveva occuparsi della riqualificazione del Porto di Castellamare del Golfo.

Sono le accuse con le quali la Guardia di Finanza, dalle prime ore di questa mattina, ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip presso il Tribunale di Trapani, su richiesta di questa Procura della Repubblica, nei confronti dei componenti di quella che viene indicata come un’associazione per delinquere responsabile di numerosi reati contro il patrimonio e contro la pubblica amministrazione.

In carcere sono finiti in 4: Pasquale e Girolama Maria Perricone entrambi di Alcamo, 61 anni lui, quasi 50 lei; Marianna Cottone marsalese di 33 anni e Emanuele Asta di 55 anni da Alcamo. Arresti domiciliari, invece, per due persone: Francesca Cruciata di 59 anni e Mario Giardina di 52 entrambi di Alcamo. infine divieto di esercizio di attività professionale per Domenico Parisi di 50 anni alcamese anche lui.

Con lo stesso provvedimento è scattato anche il sequestro di beni e disponibilità finanziarie riferibili alle società ed ad alcuni dei soggetti coinvolti.

La lunga e delicata indagine è stata svolta dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Trapani e dalla Tenenza di Alcamo ed è scaturita dal fallimento di una società (la Nettuno soc. consortile arl) incaricata dei lavori di riqualificazione del porto di Castellammare del Golfo.

Le indagini, secondo la Procura della Repubblica, hanno svelato la natura “fraudolenta” di quella bancarotta che ha provocato una distrazione di somme per circa 4 milioni di euro e successivamente hanno fatto luce sulla figura di tale Pasquale Perricone indicato come amministratore occulto della società fallita, così come anche della “CEA Soc. Coop.”, aggiudicataria dell’appalto, unitamente alla CO.VE.CO Srl (società già nota alla cronaca per la vicenda del Mose di Venezia).

Perricone, pur non figurando ufficialmente nella compagine di alcuna delle società, si sarebbe posto come regista di una operazione imprenditoriale, voluta e pianificata sin dall’inizio con il preciso scopo di appropriarsi e disperdere in mille rivoli non tracciabili le ingenti risorse di denaro pubblico affluite nelle casse della “C.E.A. Soc. coop” e destinate alla realizzazione dell’opera pubblica.

Le indagini, secondo la Guardia di Finanza,  “hanno fornito uno spaccato criminale particolarmente allarmante che ha svelato non solo le logiche ed i soggetti che in concreto hanno organizzato e pilotato il lucroso “affare” dei lavori nel porto di Castellammare del Golfo ma anche l’esistenza nella realtà alcamese di un gruppo ristretto di persone che nel settore imprenditoriale ha operato e opera in modo spregiudicato ed in totale violazione della legge, nel tentativo di accaparrarsi appalti e finanziamenti comunitari”.

Sarebbe stata messa in luce l’esistenza di un vero e proprio “comitato di affari” suscettibile di influire prepotentemente sulla gestione politica ed amministrativa del Comune di Alcamo (soprattutto nella assegnazione degli appalti pubblici) e che, come effetto della sua capacità di penetrazione nel tessuto socio economico di quella collettività, “ha esteso il suo condizionamento tentacolare anche ad un altro fondamentale centro di potere locale, rappresentato dalla Banca di Credito Cooperativo “Don Rizzo” (determinandone nel 2014 le nomine del CdA e influenzandone le scelte)”.

Tra i personaggi di spicco di questo “comitato d’affari” vi sarebbe proprio Pasquale Perricone, imprenditore edile e già vice-Sindaco del Comune di Alcamo. Già negli anni passati Perricone risultava essere stato additato da alcuni collaboratori di giustizia come contiguo alla locale famiglia mafiosa dei Melodia di Alcamo. In ragione della propria pregressa storia personale, infatti, questi sembrerebbe essere stato, per un determinato periodo, “uomo di riferimento” della famiglia mafiosa nel campo imprenditoriale ed all’interno dell’Amministrazione comunale di Alcamo.

Anche in questa indagine sono emersi numerosi elementi indiziari, dicono dalla Finanza, che tuttora lascerebbero presumere che Perricone, nella propria ascesa imprenditoriale e politica, si sia consapevolmente avvantaggiato del beneplacito della famiglia mafiosa dei “Melodia”.

Tra i reati contestati a Perricone anche quello di aver lucrato sui fondi stanziati per la “formazione professionale” mediante la creazione di una fitta rete di società (tutte intestate a prestanome ma di fatto a lui riconducibili) responsabili di aver simulato l’organizzazione di numerosi corsi professionali “fantasma” al duplice fine di ottenere illecitamente ingenti finanziamenti pubblici e allo stesso tempo assegnare posti di lavoro in cambio di favori. Ed è proprio in questo ultimo contesto che è emerso “in modo evidente” il forte potere corruttivo di Perricone, il quale, promettendo posti di lavoro o incarichi professionali all’interno delle società da lui gestite, era riuscito a “corrompere un funzionario direttivo del Centro per l’Impiego di Alcamo, Emanuele Asta oggi arrestato, in cambio della disponibilità di quest’ultimo ad attestare falsamente la regolarità dei corsi fantasma, preannunciando la data e l’ora delle ispezioni “a sorpresa”.

Complessivamente sono 32 le persone coinvolte nelle indagini per reati che vanno dall’associazione per delinquere, alla corruzione aggravata, bancarotta fraudolenta, abuso d’ufficio, intestazione fittizia di beni fino alla truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche.