Antonio Perna
Giornalista free-lance, tessera Odg 58807, cronista dal 1986 anno in cui l'Italia per la prima volta si connette a Internet
Nel cuore della democrazia americana, la Casa Bianca si erge non solo come sede del governo, ma come simbolo di un ideale.
Da sempre, i suoi spazi interni riflettono un equilibrio tra sobrietà e rappresentanza, tra funzione e forma.
Oggi, tuttavia, quell’equilibrio sembra essersi inclinato, e a prevalere è un eccesso che parla un linguaggio antico e al tempo stesso sorprendentemente attuale: l’oro.
La porta decorata, i dettagli dorati, i cherubini che sembrano sorvegliare un regno più che una repubblica, non sono frutto di immaginazione. Sono concreti, documentati, testimonianza di una visione – quella di Donald Trump – che ha voluto trasformare l’Ovale da cuore pulsante del potere istituzionale in un teatro di fasto personale.
Un’ostentazione che rompe con la tradizione della Casa Bianca e si rifà più a un’estetica di palazzo rinascimentale che a quella di una presidenza moderna.
Non si tratta di semplice decorazione, ma di un vero e proprio linguaggio visivo: l’oro diventa simbolo di dominio, di potenza, di un potere che vuole non solo governare, ma essere visto, ammirato, temuto.
Questa scelta si inscrive in un più ampio disegno, confermato dai reportage giornalistici che narrano di un progetto da 200 milioni di dollari per una nuova ballroom in stile “Mar-a-Lago”, dove il lusso si fa esibizione e la funzione si piega all’immagine.
La storia della Casa Bianca offre numerosi esempi di interventi estetici che riflettevano le epoche e le personalità dei presidenti: dalla sobrietà di Lincoln, alle scelte più raffinate di Kennedy, fino agli ammodernamenti funzionali di epoche recenti. Ma mai, fino ad ora, si era assistito a una simile esplosione di dorature, a una simile volontà di trasformare gli spazi in una sorta di palcoscenico sfarzoso, che più che parlare alla storia, parla al presente con voce forte e imponente.
In questa trasformazione, la Casa Bianca si fa specchio di una mutazione più profonda, quella del potere contemporaneo, sempre più intrecciato con l’immagine e il teatro della rappresentazione. Un potere che si costruisce – e si difende – attraverso la luce dell’oro, che acceca e attrae, che divide e affascina.
La domanda che resta aperta è forse la più importante: che cosa racconta questa doratura sulla nostra epoca?
È solo vanità? O un nuovo modo di concepire il ruolo e l’autorità? In un mondo dove la percezione spesso si sostituisce alla sostanza, forse questa Casa Bianca dorata è solo l’ultimo atto di un cambiamento più profondo, da leggere con attenzione, con senso critico e, perché no, con un po’ di inquietudine.
E se questo è un segnale, ci obbliga a riflettere su cosa significhi oggi il potere, su come si manifesta e su quali simboli lo accompagnano.
Forse, dietro la doratura, si nasconde un’ansia di legittimazione, una necessità di essere riconosciuti non solo come leader politici, ma come figure mitiche e imponenti. Ed è proprio in questo intreccio tra storia e immagine che si gioca la partita più delicata e decisiva per il futuro della democrazia.
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