pippo manuli

Pensionato....opinionista per hobby, di fede repubblicana

Tutti i post

Elzeviro 

Il Cavaliere di Nisi è arrivato come quei protagonisti tragici che il cinema celebra: a cavallo, con sguardo fiero, e una discreta tendenza a confondere la realtà con la ribalta. Se in Brancaleone Gasman interpretava il riso che nascondeva fragilità, qui il nostro Crociato non recita: è esattamente quello che sembra, e perciò più spietato perché autentico.

La campagna del 2023 ha avuto la sua sceneggiatura già scritta: il palcoscenico era Taormina, le quinte un dissesto dichiarato due anni prima, e il finale — prevedibile e consolatorio — la vittoria del Nisiota. È stato un trionfo di coerenza: non per amore del bene comune, quanto per una sottile arte della consolidazione. Ai vecchi amici di Brancaleone, ora ribattezzati con sobrietà “la vecchia guardia”, sono andati gli applausi e i ruoli. Mercenari? Meglio chiamarli investitori di lungo corso, purché il palcoscenico resti loro.

Gli atti amministrativi hanno avuto la velocità di una regia televisiva: due, tre atti di fede e affidamenti diretti, accompagnati dal sussurro rassicurante del Mepa. Giri di valzer contabili che trasformano spese in “investimenti” e investimenti in promesse per la prossima stagione elettorale. È un’economia della dipendenza: non si costruisce cittadinanza, si costruisce clientela.

Spese e nomine hanno assunto, di colpo, il tono delle feste di paese in grande stile. Un colpo di bacchetta e ecco 200/300 mila euro per trienni faraonici; assunzioni alla Social, alla Patrimonio, un passaparola che suona come “prendi il posto, ricorda il nome”. C’è chi giura che qualcuna sia a titolo gratuito — miracolo della generosità amministrativa — ma il conto finale parla una lingua diversa: quella dei contribuenti taorminesi, che pagano il biglietto per uno spettacolo che non hanno scelto.

Si parla già di SpA come di un decisivo atto d’amore per il futuro della città. Tradotto: un nuovo livello di partecipate che, a occhio e croce, assorbiranno oltre 9,5 milioni di euro. Sono somme che si spera portino valore, mentre l’impressione è che scavino pozzi più profondi per chi verrà dopo. Quando la retorica invoca “progetti”, sarebbe bello vedere anche qualche riscontro nel presente, non solo in promesse per la campagna successiva.

Il vero tratto comico — se non fosse tragico — è la trasparenza con cui tutto questo viene presentato come lungimiranza. Si costruiscono rapporti di dipendenza, si alimentano clientele, si affinano meccanismi che garantiranno voti e favori. È una forma di previdenza politica: assicurarsi il domani svendendo il presente.

E i cittadini? Applausi, forse un pizzico di stordimento. Difficile dire se sia complicità o rassegnazione. Forse entrambi. Nel frattempo, resta il panorama che lascia sul terreno non solo lavori e conti, ma la sensazione di un’eredità pensata più per chi la lascia che per chi la riceverà.

Chiudiamo con un suggerimento che non sarà mai rivolto dai palchi: se la politica è teatro, che almeno il pubblico abbia il diritto di cambiare spettacolo. Se invece preferiamo continuare con le stesse sceneggiature, accomodiamoci pure — ma non stupiamoci quando il sipario cala su macerie e promesse non pagate.

Luogo: Naumachie, Le Naumachie, S. N., TAORMINA, MESSINA, SICILIA

Questo contenuto è stato disposto da un utente della community di BlogSicilia, collaboratore, ufficio stampa, giornalista, editor o lettore del nostro giornale. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore. Se hai richieste di approfondimento o di rettifica ed ogni altra osservazione su questo contenuto non esitare a contattare la redazione o il nostro community manager.