Giovanni Pizzo

Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio

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Una ricerca ha evidenziato che negli ultimi 10 anni abbiamo perso 56.000 laureati recatisi al centro-nord, praticamente come se Ragusa fosse emigrata interamente. Praticamente oltre l’1% dei siciliani, quello su cui avevamo più investito in formazione, è emigrato per trovare miglioramenti della propria vita rispetto al contesto locale. A questi si aggiungono quelli che si recano all’estero per studiare. Una volta partivano gli analfabeti, i braccianti che volevano diventare minatori o operai, con la valigia di cartone legata con lo spago, oggi partono con la toga su cui la comunità siciliana e soprattutto le famiglie hanno investito speranze e risparmi. E gli ignoranti, i cosiddetti “vastasi”?

Quelli rimangono tutti, le miniere di carbone sono chiuse e la ex Fiat produce all’estero, nessuno fuori vuole manodopera a bassa specializzazione, meglio gli extracomunitari che si accontentano di vivere in condizioni di difficoltà, cosa che i siciliani a bassa scolarizzazione, ma con l’IPhone che ne solletica pruriti e consumi, non accettano.

Questa massa a basso stadio di istruzione, in una terra ad abnorme tasso di dispersione scolastica a cui si aggiunge l’analfabetismo di ritorno, si rivolge al mercato dell’intermediazione clientelare politica per un posto da precario nelle partecipate regionali o per i meno fortunati nel circuito delle pulizie “modello Dusmann” agli onori, o orrori, delle cronache giudiziarie. D’altra parte se non studi che puoi fare? A parte le pulizie o il portantino in ospedale. E per quello devi entrare nel circo Barnum del clientelismo politico, è così da sempre ma oggi ci stupiamo. Ci stupiamo che avvocati e commercialisti vadano a “leccare la sarda” a Milano allo studio Erede e Bonelli o in qualche multinazionale della consulenza, piuttosto che sostare sotto casa di Cuffaro o altri politici per un incarico da qualche migliaio di euro a Palermo o Catania?

La perdita di migliaia di giovani formati con una istruzione superiore toglie all’isola le risorse professionali ma anche coloro che in virtù di chiavi di lettura intellettuali determinano la coscienza critica dell’isola, che può orientare l’opinione pubblica, lasciando l’isola al conformismo più assoluto senza analisi e capacità di autodeterminare il senso di evoluzione, o sopravvivenza, di una comunità. Senza persone dotate di capacità di analisi e critica rimaniamo alla mercé di esclusiva ignoranza, arbitrio e lotta di bande. Che è il livello culturale che esce fuori dalle intercettazioni pubblicate sui media.

Ma nessuno si occupa della principale disgrazia di quest’isola che non è la sicurezza, la violenza nelle strade, quella è una conseguenza, che è l’ignoranza, crassa, “crasta”, dilagante e devastante. Questa dovrebbe essere la principale preoccupazione della classe dirigente siciliano. Concedere prestiti per studiare, borse di studio ai meritevoli, finanziare il south working, investire in fondi per il rientro dei cervelli, aumentare il tasso di resilienza dei laureati finanziando il placement in aziende locali. A meno che, viene il sospetto, che più ignoranti siamo meglio è per l’intermediazione, più disperati meglio siamo condotti al voto clientelare. La religione era considerata l’oppio dei popoli, ma almeno quella salvava l’anima, a questa oggi in Sicilia abbiamo sostituito l’ignoranza, se va bene con l’ignavia delle classi dirigenti, che ci porterà all’inferno. ZEN docet.

 

 

 

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