Giovanni Pizzo

Ex assessore della Regione Siciliana, scrivo su vari quotidiani. Laureato in economia e commercio

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Scrive Tomasi di Lampedusa che dopo i Gattopardi, siamo nella Sicilia del 1860, vennero le Iene. I Gattopardi erano l’aristocrazia del tempo a cui seguirono i tribuni della plebe, i politici borghesi alla Sedara. Ai tempi del dopoguerra, nel 1945 alla fine dell’amministrazione americana, la classe dirigente politica era ormai interamente borghese, ma proporzionalmente ai tempi odierni erano gattopardi di razza. C’erano Alessi, Aldisio, Macaluso, a seguire Lauricella, Mannino, i fratelli Mattarella, Nicolosi, La Torre. I “faccendieri” del tempo erano fini professionisti, e avevano le fattezze dell’Avvocato Guarrasi, uno che aveva contribuito a far firmare l’armistizio a Cassibile e dava del tu all’altro Avvocato, Gianni Agnelli, non certo ladri di polli. A costoro dopo il crollo della prima repubblica e del sistema di equilibri della rappresentanza, seguì il distacco in due tronconi della classe dirigente politica. Da un lato quella nazionale, senza voti e senza incidenza, se non per i pochi capo partito. Dall’altra quella locale, bisonti delle preferenze, utili a supportare il quadro nazionale, ma lasciati a pascolare e ruminare nelle praterie del territorio, sempre più asfittiche, in cui la politica non ha più senso, logica e costrutto intellettuale, e lo scambio residuale, il che c’è per me, è inevitabile. La politica è fatta di ideali, di sogni, di futuro, e i bisonti non hanno le leve per queste cose, possono solo fare promesse ad personam, di piccoli, egoistici, individuali favori. La gente, perché definirli popolo è incongruo, li usa come lotterie, compra il biglietto, spesso sempre diverso, per accaparrarsi una eventuale vincita, svilendo del tutto il primario diritto di una democrazia. In questo contesto, che coincide pressochè con il nuovo millennio, il bisonte più grosso è stato in Sicilia, ma non solo, Totò “Tatanka” Cuffaro, il maggior ruminatore di consensi e di intermediazioni degli ultimi 30 anni. Appresso alla mandria di bisonti, in feroce competizione tra loro per l’erba del consenso e dell’intermediazione, ci sono i cacciatori magistrali, più o meno vigili su alcuni piuttosto che su altri, la giustizia come la dea bendata è cieca, o forse no, e costoro come Bufalo Bill sparano ai bisonti. Intorno, nella prateria umana e politica, vivono le Iene, fulve e piccole di statura rispetto ai bisonti cornuti, ma dai denti, oggi digitali, aguzzi. Le Iene si nutrono di animali feriti, politicamente, e di carogne. Agiscono in branco, e a volte vincono su animali più grossi, soprattutto se isolati. Si cibano per l’istinto feroce della sopravvivenza, del ciclo della vita, ma non regneranno mai sul regno animale. E quando per scherzo della sorte ne hanno la possibilità soccombono ad un regno di belve molto più grosse di loro. Poi ci siamo noi, i cittadini, più o meno informati, più o meno casti o “crasti”, le cosiddette pecore, anche se alcune magari sono lupi travestiti.

“E tutti quanti, gattopardi, sciacalli e iene continueremo a credersi il sale della terra”, così scrisse il Principe di Lampedusa e così sembra oggi. Solo che il mondo è andato avanti, e noi siamo sempre qua a raccontare storie immutabili.

Abbiamo parlato per metafore, ma abbiamo, come Tomasi, già visto tutto. Non c’è dunque speranza? In coloro nati prima del millennio, che hanno preso il latte nel novecento, è impossibile cercare speranze. Solo quando entrerà in campo, con tutti i suoi limiti, la generazione zero, quella nata dopo il millennium bug, potremo, forse, vedere un cambiamento. Non ci è dato sapere se un miglioramento.

 

 

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