C’è attesa a Palermo per il verdetto del processo per la così detta trattativa Stato-mafia che dovrebbe essere pronunciato oggi (venerdì 20 aprile) alle 16 dai giudici della corte d’assise di Palermo che sono entrati in camera di consiglio lunedì scorso.

Al dibattimento, cominciato nel 2013, sono imputati gli ex vertici del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno, i boss Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, l’ex senatore di Fi Marcello Dell’Utri, il pentito Giovanni Brusca, accusati di minaccia a Corpo politico dello Stato, Massimo Ciancimino, che risponde di concorso in
associazione mafiosa e calunnia e l’ex ministro Nicola Mancino, accusato di falsa testimonianza.

Al centro del dibattimento il presunto patto che pezzi delle istituzioni, nel ’92, tramite i carabinieri, avrebbero stretto con Cosa nostra per fare cessare le stragi. Il verdetto verrà pronunciato nell’aula bunker del carcere Pagliarelli.

A rappresentare l’accusa, fra gli altri, il Pm Nino Di Matteo che su questo processo ha puntato una parte consistente della propria carriera. Nelle fasi iniziali fra gli accusatori c’era anche l’allora Pm Antonio Ingroia che ha, poi, lasciato la magistratura scegliendo la carriera politica. Una scelta che voi di corridoio sempre smentite hanno a tratti affibbiato anche allo stesso Di Matteo rimasto, invece, sempre in magistratura.

Il processo ha vissuto momenti anche particolarmente sensibili quando sono state richieste testimonianze anche all’allora capo dello Stato solo per ricordare uno dei momenti clou del procedimento.

Il collegio della corte d’assise di Palermo presieduto da Alfredo Montalto (giudice a latere Stefania Brambille) è in camera di consiglio da lunedì mattina per decidere sui nove imputati.

E’ il processo in cui sono alla sbarra uomini delle istituzioni e mafiosi, accusati di aver trattato durante la stagione delle bombe del 1992-1993.

La corte dovrà decidere sull’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino (accusato di falsa testimonianza), sull’ex senatore Marcello Dell’Utri, sugli ex ufficiali del Ros dei carabinieri Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno (accusati di concorso in attentato a corpo politico dello Stato).

Fra gli imputati anche i mafiosi Leoluca Bagarella e Antonino Cinà. E poi, il supertestimone del processo, Massimo Ciancimino, che rispondeva di calunnia e concorso esterno in associazione mafiosa.

Imputato pure l’ex capomafia di San Giuseppe Jato oggi collaboratore di giustizia Giovanni Brusca.

Per tutti loro, i pubblici ministeri Nino Di Matteo, Francesco Del Bene, Roberto Tartaglia e Vittorio Teresi hanno chiesto delle condanne, a vario titolo: 15 anni per l’ex generale Mario Mori, 12 per l’ex generale Antonio Subranni e l’ex colonnello Giuseppe De Donno, 12 anni anche per Marcello Dell’Utri.

Per l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino, la procura ha sollecitato una condanna a 6 anni. Una condanna era stata sollecitata anche per i mafiosi: 16 anni per Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina, 12 per Antonino Cinà.

Una richiesta dello stesso tenore è arrivata pure per l’imputato principale di questo processo, l’artefice della strategia stragista, il capo di Cosa nostra Salvatore Riina, che è morto a dicembre. Per il super testimone del processo, Massimo

Ciancimino, accusato di calunnia nei confronti dell’ex capo della polizia Gianni Di Gennaro, la procura ha chiesto 5 anni (la prescrizione, invece, per l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa). Prescrizione anche per il pentito Giovanni Brusca.