I Carabinieri del Comando provinciale di Messina hanno eseguito, con il supporto del 12° Nucleo elicotteri carabinieri di Catania, un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal gip su richiesta della Direzione distrettuale antimafia guidata dal procuratore Maurizio De Lucia, a carico di otto persone accusate a vario titolo di associazione mafiosa, estorsione, usura, intestazione fittizia di beni e violazioni degli obblighi della sorveglianza speciale, tutti aggravati dal metodo mafioso.

Il provvedimento nasce da un’indagine avviata nel 2014 dal Nucleo Investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Messina che ha preso le mosse dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Daniele Santovito. Il pentito ha consentito di scoprire il clan guidato da Giacomo Spartà, egemone nel racket dell’usura e delle estorsioni a commercianti e clienti di sale scommesse. I carabinieri hanno accertato che a reggere il clan durante la detenzione del boss era Raimondo Messina, tra gli arrestati di oggi. Altro personaggio chiave dell’indagine è Antonio Cambria Scimone, anche lui finito in manette oggi.

Messina gestiva la cassa comune del gruppo a cui attingeva anche per il sostentamento dei detenuti e delle loro famiglie. Il clan condizionava l’attività di alcuni imprenditori messinesi, non solo imponendo assunzioni di personale, ma anche imponendo loro le scelte imprenditoriali.

E’ stato accertato nel corso dell’inchiesta che, per eliminare del tutto la concorrenza al bar “il Veliero”, nell’interesse del clan, un pasticcere è stato obbligato a interrompere la vendita di bibite e caffè nella propria pasticceria, che si trovava vicino al bar, perché gli faceva concorrenza. Un imprenditore attivo nel settore del commercio all’ingrosso di prodotti alimentari è stato costretto a interrompere le forniture di carne ad alcuni ristoranti per favorire l’attività di macelleria di uno degli indagati.

L’organizzazione gestiva anche le estorsioni ai giocatori, frequentatori di alcune sale gioco cittadine controllate dalla cosca. In un caso alcuni degli indagati hanno costretto il titolare di una sala scommesse a cedere loro la proprietà, a causa delle difficoltà economiche che aveva, pretendendo anche il pagamento di 5mila euro, per una serie di giocate effettuate con denaro “a credito” delle società di scommesse. Altri giocatori sono stati costretti a pagare i debiti con i gestori delle sale dietro minaccia di ritorsioni e violenza. Una donna, a fronte di un debito a un tavolo da poker illegale, di circa 6mila euro, è stata costretta prima a versare 10mila euro in contanti, poi a consegnare un anello da 6mila euro e infine un orologio da 4mila.

Nel corso dell’inchiesta è emerso anche un episodio di usura a una commerciante in evidenti difficoltà economiche. In particolare la vittima, titolare di una nota gioielleria cittadina, per far fronte a piccoli debiti con i fornitori per un importo di 4mila euro, ha dovuto consegnare in sei mesi 8500 euro, di cui 4.500 a titolo di interessi. Gli arrestati sono Angelo Bonasera, 54 anni, Antonio Calio, 35 anni, Giuseppe Cambria, 46 anni, Antonio Cambria Scimone, 50 anni, Tommaso Ferro, 41 anni, Lorenzo Guarneri, 57 anni e Raimondo Messina 47 anni e Alfio Russo, 48 anni.