Nel modo di dire comune vengono chiamate Zone Franche, nelle orme sviluppatesi negli anni si chiamano, in realtà, ZES, Zone economiche speciali e sono leggermente diverse dalle zone franche così come intese nelle grando eree di sviluppo industriale. Sono  aree geograficamente limitate e chiaramente identificate, nelle quali le imprese potranno beneficiare di speciali condizioni per gli investimenti e per lo sviluppo territoriale (che possono andare dal credito d’imposta per investimenti fino a 50 milioni di euro alle  semplificazioni amministrative per favorire gli investimenti.  Insomma uno strimento per incentivare l’insediamneto di imprese in una specifica aree sottosviluppata e garantire la crescita con l’obiettivo di convergere su posizioni assimilabili a quelle delle aree più ricche del Paese o dell’Unione Europea.

In Sicilia potrebbero nascerne tre al massimo e si parla dell’area portuale di Catania-Augusta-Siracusa e di quella di Palermo-Termini Imerese, ma anche l’area di Messina pretende di istituire una zona economica speciale facendo già presagire una “guerra” fra città metropolitane per chi avrà questo privilegio. Mentre pe rlegge regionale nell’era Crocetta si era dato vita in modo un po’ frettoloso e parziale all’area franca della Legalità prevista dal precedente governo e che doveva insistere nel territoio della Sicilia centrale ovvero Caltanissetta-Enna. Potrà darsi anche il caso che alla Zes vengano accluse aree territoriali non direttamente adiacenti all’area principale, purché ci sia però un nesso economico funzionale con la zona portuale.

In vista di una istituzione che si spera arrivi (chissà?) scoppia, dunque, la guerra delle Zes. Ogni deputato si affanna a presentare proposte per il proprio territorio di influenza. Intanto l’articolo 87 della Finanziaria regionale che affrontava iltema fu accantonato già ad aprile in attesa di un confrontocl Ministero del quale non si parla più e l’argomento sembra destimato a tornare indiscussione nella prossima finanziaria con ulteriore lenta attesa e decrescente speranza

Ed ecco il progetto del deputato forzista Nino Minardo: “Creare alcune zone a franchigia doganale per gli operatori economici nazionali ed esteri che hanno interessi orientati nel bacino del Mediterraneo, in particolare nella provincia di Ragusa che ha una posizione marginale rispetto all’Italia e di assoluta centralità rispetto al complesso degli Stati del Nord-Africa e dell’Europa meridionale”.

L’idea è in un progetto di legge che comprende norme per il riconoscimento dei comuni iblei come “zone franche”.

“L’adozione di tale misura – sottolinea Minardo – costituirebbe un elemento decisivo per l’attuale situazione locale, con prospettive future di attrazione di risorse produttive e di rilancio del commercio attraverso attività estese nei settori di trasformazione, produzione, manipolazione e assemblaggio, il che si concretizza e si ripercuote in un vantaggio anche per i territori adiacenti e complementari, per forniture di beni e servizi, direttamente o indirettamente interessati. L’istituzione delle zone franche – conclude il deputato azzurro – non è la soluzione di qualsiasi problema però è senz’altro un utile incentivo per il recupero delle potenzialità latenti nell’area iblea con positive conseguenze anche di tipo occupazionale”.

Ma dal Pd siciliano arriva anche l’idea dei Anthony Barbagallo. “La competitività internazionale delle aziende che operano nel distretto della Lava dell’Etna e la stessa sopravvivenza dell’intero distretto produttivo dipendono da un’attenta politica di tutela e supporto che punti alla creazione di una Zona Economica Speciale (ZES) oltre che all’istituzione di un vero e proprio ‘marchio di qualità’, che attesti la provenienza della pietra lavica”. L’idea l’ha presentata Barbagallo insieme al presidente di Confcommercio Catania Pietro Agen ed il vicepresidente Riccardo Galimberti.

“Il comparto produttivo della pietra lavica dell’Etna – ha aggiunto Barbagallo – rischia di restare stritolato dalla crisi delle esportazioni, oltre che  dalla ‘concorrenza sleale’ attuata da chi, in questi anni, ha introdotto sul mercato prodotti di qualità nettamente inferiore a prezzi più bassi”.

“Introdurre norme di salvaguardia che impongano la necessità di una prima lavorazione all’interno dei confini regionali – ha proseguito il parlamentare PD – esportando un semilavorato coperto da marchio di qualità che ne certifichi la provenienza, può essere un meccanismo ideale per la valorizzazione e la tutela di una specificità territoriale unica, che può diventare volano di sviluppo per la nostra economia”.

Mentre si litiga su nuovo idee e nuovi progetti resta, invece, ferma una norma già pronta da anni. E’ il Disegno di Legge sull’istituzione delle Zone Franche Montane, simile ma non uguale e che individua zone a sicuro svantaggio e a sicura capacità di crescita ma che è rimasta al palo. Sono trascorsi 1278 giorni dal lontano 16 aprile 2015, quando la Commissione Attività produttive dell’Assemblea Regionale Siciliana ha recepito la prima stesura del Ddl 981/2015 (nella XVII Legislatura ribattezzato Ddl n° 3/2017) e poco meno dalla 236° seduta del Parlamento Siciliano (XVI Legislatura) che ne approvava la “procedura d’urgenza”. Ma parlare sembra decisamente più facile e produttivo che fare