Due magistrati che lavoravano in Sicilia, l’ex procuratore a Trapani Marcello Viola (ora procuratore generale a Firenze) e il procuratore aggiunto a Palermo Teresa Principato (ora applicata alla direzione nazionale antimafia) sono a processo a Caltanissetta per rivelazione di segreto d’ufficio.

Per Viola la procura nissena aveva chiesto l’archiviazione ma il gup ha disposto l’imputazione coatta. Il fascicolo su di lui era stato aperto nel 2016.

Quello su Principato l’anno successivo. L’inchiesta riguarda lo scambio, per l’accusa illecito, di atti d’indagine sulla cattura del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro.

L’inchiesta era di competenza della Dda palermitana. Da ambienti della procura nissena si fa rilevare che gli atti non sono usciti dall’ambito della magistratura.

Lo scambio illecito, se c’è stato, è avvenuto tra due magistrati. Il processo col rito abbreviato condizionato per Principato comincerà a fine mese. Nell’inchiesta è coinvolto un appuntato della finanza che ha richiesto il rito abbreviato.

Il finanziere lavorava col procuratore aggiunto Principato e durante l’indagine sulla rivelazione di segreto d’ufficio gli inquirenti avrebbero indizi su un passaggio di atti coperti da segreto investigativo dalla Principato a Viola, attraverso una pen drive veicolata proprio dal militare.

Inizialmente l’ipotesi di reato comprendeva anche l’aggravante di aver favorito la mafia che poi è caduta. Matteo Messina Denaro, classe ’62, figlio del boss Francesco morto tanti anni fa, è l’ultimo latitante importante di Cosa nostra, ricercato dal ’93 e dal ’94 anche in ”campo internazionale” per mafia, stragi e omicidi.

Negli ultimi 20 anni numerose operazioni antimafia, molte coordinate da Principato, hanno fatto terra bruciata tra amici e parenti di Messina Denaro, con arresti e sequestri di beni, e nelle parole di magistrati e investigatori è emerso sempre che il mafioso era un boss tra i boss e che dopo la caduta di Riina e Provenzano era lui a tirare le file della mafia.

Intanto il latitante da anni non paga più avvocati per assisterlo nei diversi processi, non lascia un segno diretto della sua attività criminale, non c’è una intercettazione in cui si senta la sua voce. E’ stato anche ipotizzato dagli investigatori che fosse morto. L’ultima prova tangibile della sua esistenza risale al 1995 quando Francesca Alagna partorì la presunta figlia del mafioso.

Sei giorni fa il questore di Palermo, Renato Cortese, l’uomo che arrestò il boss dei boss Provenzano, disse che Matteo Messina Denaro ”non avrebbe un ruolo in Cosa nostra, non detta le strategie criminali, forse è latitante all’estero e non ha contatti con le cosche”.