E’ stata violentata per vendetta in corso Calatafimi a Palermo da tre giovani universitari palermitani di buona famiglia. E’ l’incubo che ha vissuto una ragazzina di 15 anni dopo aver mandato una foto in slip al fidanzato.

Una storia terribile  come emerge dalla carte di questa indagine.

«Hai finito di trattarmi come un cane, ora ci penso io a trattarti male…», «ma ti pare che sono il tuo pollo? Il tuo schiavo? Che continui a bidonarmi da oltre un mese. Vedi di venire, non facciamo succedere stragi. A me per il c… non mi ci prendi!» e ancora: «Forse non hai capito, se domani alle 4 non sei da me dico a tutti che invii foto in perizoma a chiunque, anche ai bambini». Sono questi alcuni dei messaggi minacciosi e pieni di rancore che sarebbero stati inviati alla quindicenne che sarebbe stata violentata a turno da tre suoi compagni di scuola di appena 18 anni e che erano stati arrestati a luglio.

Dall’ordinanza emessa dal gip Cristina Lo Bue, su richiesta del procuratore aggiunto Annamaria Picozzi e dei sostituti Giorgia Righi e Sergio Mistritta, come racconta il Giornale di Sicilia, emerge il terribile ricatto che la ragazzina avrebbe subito per una stupida foto che la ritraeva in maglietta e mutandine, inviata ad uno degli indagati. Viene anche fuori come, pensando di riuscire a chiudere la questione da sola, con una chiacchierata, il 29 novembre si sarebbe invece ritrovata preda di un branco, in un parcheggio nella zona di corso Calatafimi.

L’adolescente, con l’aiuto delle amiche, della famiglia e della scuola, ha deciso di denunciare i presunti abusi sessuali. Ha raccontato che con uno dei tre avrebbe avuto una relazione: «Ci siamo frequentati come amici e facevamo delle uscite pomeridiane, il nostro rapporto si è limitato a qualche bacio e abbraccio. Da circa un mese la nostra relazione si è affievolita e tutte le volte che lui mi chiedeva di uscire gli dicevo sempre di no perché avevo capito che il suo obiettivo era quello di avere un rapporto sessuale con me, cosa che io non volevo».

La quindicenne ha anche ammesso: «Ad agosto mi ha chiesto di mandargli una mia foto con le parti intime scoperte. Io ho fatto un selfie riprendendomi la faccia, il busto coperto da una maglietta e le gambe scoperte, visto che indossavo solo le mutandine. Lui mi ha mandato una sua foto che lo ritraeva completamente nudo».

Quando avrebbe deciso di prendere le distanze, lui avrebbe però insistito perché si rivedessero. Sarebbe diventato pressante, ma inizialmente scrivendole «mi manchi» e «sei bellissima». Poi però sarebbe iniziato il ricatto: «Mi ha chiamato – dice la ragazzina – minacciandomi che se non andavo da lui avrebbe stampato la mia foto e sarebbe andato ad appenderla in luoghi pubblici e tramite telefono l’avrebbe inoltrata a tutti».

E poi le avrebbe scritto: «Sei pazza? Vuoi che succeda un bordello?», «faccio succedere un finimondo, io aspetto fino alle 4, poi ci penso io! Non sei nessuno per trattarmi così», «stai sottovalutando la cosa, ti rendi conto di cosa mi porti a fare se di pomeriggio non vieni? Succederebbe un finimondo… Ragiona, non ti causare problemi inutili, sono così buono che posso anche venirti a prendere a casa».

A quel punto, spiega la quindicenne «ho avuto paura e ho proposto di vederci il giorno dopo per parlare di questa situazione». L’intento era di chiudere definitivamente, ma il giovane avrebbe deciso di fargliela pagare.

L’avrebbe fatta salire in macchina e poi, giunti nel parcheggio, «ha iniziato a baciarmi contro la mia volontà e ha iniziato a toccarmi dappertutto, con la forza mi ha messo le mani sotto la maglietta e mi ha sbottonato i jeans. Io non potevo uscire dalla macchina perché l’apertura dello sportello era rotta».

E l’indagato l’avrebbe dunque violentata. Lei avrebbe scritto alle amiche, chiedendo aiuto: «Venitemi a prendere, sto male, mi tratta come una prostituta». Ma il diciottenne avrebbe chiamato i suoi amici, che a turno avrebbe abusato anche loro della ragazzina. «Ogni tanto chiedevano perché ero triste e io dicevo che avevo paura e volevo andare via», ma solo dopo le violenze e con difficoltà era poi riuscita a scappare.

I tre diciottenni sono sempre rimasti in silenzio. Grazie alle intercettazioni, però, i carabinieri sono riusciti a registrare non solo la loro agitazione quando a marzo vennero convocati in caserma, ma anche il disprezzo verso la quindicenne e le loro giustificazioni: «È una p…», «schifosa», «non ho fatto niente, non l’ho mai voluta» e – immancabilmente – «è sempre stata consenziente». Ad un certo punto, però, il ragazzo che avrebbe ricattato l’adolescente, capisce di non avere scampo: «Io in carcere ci vado sicuro» e quando uno degli amici gli contesta di essere stato «un pazzo», di essere stato troppo insistente («un martello pneumatico»), dice: «Avrei dovuto mollare la presa».

La preoccupazione inizia con la prima notifica: i tre pensano subito però a quanto accaduto con la ragazzina: «Hai visto cosa gli è arrivato? Una lettera dei carabinieri che lo vogliono. Siccome ci stiamo preoccupando se (fa il nome della ragazza, ndr) aveva fatto qualche roba strana… Si sta preoccupando pure lui perché c’è scritto pure penale».

La tensione saliva con la seconda convocazione «lo stesso giorno, la stessa caserma, la stessa ora», tanto che uno diceva: «È per forza quello» e un altro «io pure mi sono iniziato a preoccupare, sono andato a vedere il profilo di quella, ma sembra tranquillo». E continuavano: «Cioè t’immagini, però quella se ha fatto una roba del genere», «se mi arriva pure a me già sappiamo cos’è» e «io salgo là dove sta quella e gli vado a rompere le corna».

Uno degli indagati chiedeva aiuto ad un poliziotto, che confermava i timori: «Vedi che è la denuncia di quella… Codice di procedura penale, molestie» e consigliava: «Ragazzi confermate tutto, non dite che non è vero niente, dite “sì è vero, abbiamo fatto questo, abbiamo sbagliato, non negate niente”».

Uno degli indagati sosteneva poi che per «noi lei prove non ne ha, anzi ha i messaggi che le dicevo: “Ah no, non ti voglio prendere in giro, mi siddia per ora…”». In caserma venivano ulteriormente intercettati: «Lei, compà… Personalmente – diceva uno dei diciottenni – non gliel’ho mai voluta dare la m… e per un p… che mi faccio fare mi fai la denuncia? Può essere mai? È pazza! Rischiamo la galera! Non ho fatto niente, un p… me lo ha voluto fare lei e sono incolpato? Schifo. Ho sempre rifiutato questa p…, non può denunciare, qua superiamo i limiti!». E ancora: «Ci sono le prove del ricatto che è fatto da lui e questo è innegabile… Noi due cosa abbiamo fatto? Ha chiamato lei, mi ha chiesto la foto della m… E se lei non era consenziente non mi chiamava!» e l’altro replicava: «Bravo!».

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