Il trasferimento dell’ex prefetto di Trapani Fulvio Sodano è stato al centro della deposizione dell’ex governatore siciliano Salvatore Cuffaro salito sul banco dei testi al processo d’appello all’ex senatore ed ex sottosegretario di Forza Italia Antonio D’Alì, accusato di concorso in associazione mafiosa. L’ex governatore è stato sentito su istanza del procuratore generale Domenico Gozzo dalla corte d’appello di Palermo che, dopo l’annullamento con rinvio da parte della Cassazione, sta celebrando il nuovo processo di secondo grado.

D’Alì in primo e secondo grado fu assolto per le contestazioni successive al 1994, mentre vennero dichiarati prescritti i reati a lui imputati nel periodo antecedente a quella data. La Cassazione annullò il verdetto rinviando davanti a nuova sezione della corte d’appello di Palermo. Sodano, nel frattempo deceduto, raccontò ai magistrati di aver saputo da Cuffaro che il suo trasferimento da Trapani, disposto dall’allora ministro dell’Interno Giuseppe Pisanu, sarebbe stato determinato dalle pressioni di D’Alì. La vicenda si inquadra nella storia della Calcestruzzi Ericina, impresa confiscata alla mafia di cui Cosa nostra tentò di riappropriarsi. A battersi per il rilancio della società, confiscata ai clan, fu l’allora prefetto Fulvio Sodano che sarebbe stato osteggiato dal senatore Antonio D’Alì fino ad essere improvvisamente allontanato da Trapani.

I mafiosi, secondo l’accusa, provarono a rimettere le mani sulla Calcestruzzi grazie alla complicità di un funzionario del Demanio di Trapani che la deprezzò per favorirne l’acquisto da parte di un altro imprenditore del settore, Vito Mannina, longa manus delle cosche trapanesi e poi finito in manette. Sentito dai giudici, Cuffaro ha oggi sostenuto di aver più volte parlato con Sodano del suo trasferimento e di essersi offerto di discutere della vicenda con Pisanu che gli avrebbe detto, però, che lo spostamento del prefetto da Trapani ad Agrigento non era affatto un declassamento. Per l’ex presidente, Sodano avrebbe dedotto dalle sue parole che dietro la vicenda ci fosse D’Alì, ma ha negato che Pisanu gli abbia mai riferito una circostanza simile.

D’Alì è accusato di avere “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore della Repubblica e di sottosegretario di Stato”. Per i pm, il senatore trapanese avrebbe avuto rapporti con le cosche e con esponenti di spicco dell’organizzazione come il superlatitante Matteo Messina Denaro, Vincenzo Virga e Francesco Pace, fin dai primi anni ’90, e avrebbe cercato l’appoggio elettorale delle “famiglie”. Il politico avrebbe poi svolto un ruolo fondamentale nella gestione degli appalti per importanti opere pubbliche, dal porto di Castellammare del Golfo agli interventi per l’America’s Cup.

Dei presunti collegamenti di D’Alì con le cosche hanno parlato vari pentiti tra cui Antonino Giuffrè, Antonio Sinacori, Francesco Campanella e da ultimo don Ninni Treppiedi e Antonino Birrittella, ritenuti attendibili dai giudici d’appello. Alla prossima udienza verrà sentito in video-collegamento l’ex ministro Pisanu.