Diciamocelo pure, la guerra alla plastica mette a rischio la praticità di molte nostre abitudini quotidiane nel farvi ricorso. E’ il caso, ad esempio, delle bottigliette d’acqua o delle comuni stoviglie usa e getta.

Dal 2021, infatti, l’Unione Europea ha stabilito di mettere al bando la produzione di oggetti in plastica monouso: bastoncini cotonati, posate, piatti, bicchieri, cannucce e aste per palloncini… da soli, costituiscono, infatti, ben il 70 per cento dei rifiuti in mare!

Ma se la plastica sarà messa al bando (con la buona prassi di cominciare ad abituarci a comportamenti più virtuosi per l’ambiente) ci sarà almeno un riflesso da salutare con favore, proprio a beneficio della nostra salute e di quella dei nostri cari: il ridursi certo di possibili rischi derivanti da fonti di contaminazione, soprattutto a contatto con gli alimenti.

Ma procediamo con ordine. Il principale “accusato”, quando si parla di plastica, è il cloruro di vinile, usato principalmente, appunto, per la produzione di polivinilcloruro (da cui il noto acronimo PVC). Esso è anche usato in alcuni Paesi per le tubazioni negli acquedotti e, pertanto, la possibile migrazione di questa sostanza nell’acqua potabile è un fatto reale (sebbene anche in un documento della Direzione generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute contempli la via inalatoria come la più importante fonte di assunzione del cloruro di vinile… secondo una ricerca tedesca, ad esempio, i dischi in vinile erano i principali oggetti a rilasciare maggiori quantità di detta sostanza).

Naturalmente, gli odierni processi produttivi hanno reso maggiormente sicura la realizzazione di materiali plastici, e con riferimento all’acqua potabile il ricorso a materiale di qualità certificata riduce considerevolmente i possibili rischi di trovarsi concentrazioni oltre i valori guida dell’Organizzazione mondiale della Sanità.

Attenzione, quindi, a una ingiustificata caccia alle streghe (notoriamente, il PVC è presente persino nelle automobili e nei comuni oggetti di uso quotidiano).

Detto questo, con specifico riferimento alle acque confezionate in bottiglie di plastica, va detto che stante la possibilità che prodotti in PVC contengano residui di cloruro di vinile, il decreto legislativo 31 del 2001 ha stabilito che il contenuto di questa sostanza chimica, nelle acque destinate al consumo umano, non può superare gli 0,5 microgrammi per litro, una soglia che non compromette la salubrità della preziosa risorsa.

Con l’occasione, ricordiamo che uno studio condotto anni addietro dall’Istituto Mario Negri aveva appurato come il contenuto di cloruro di vinile, per ciascun litro d’acqua in bottiglie in PVC, fosse ben al di sotto di questo valore guida, evidenziando al contempo che questa concentrazione aumentava in funzione del tempo di permanenza del liquido entro i contenitori in PVC (nell’ordine di un nanogrammo per litro ogni giorno).

Accertata, inoltre, secondo studi internazionali di oncologia medica, la cancerogenicità di tale sostanza (gruppo 1 secondo la classificazione IARC), per limitare il rischio di contaminazione dell’acqua minerale contenuta in bottiglie PVC (la concentrazione del cloruro di vinile non è uno dei parametri previsti dalle analisi obbligatorie sull’acqua minerale) non resta che tenere tali confezioni lontane dai raggi solari e non conservarle per periodi prolungati.

Con tali precauzioni, come ci rassicurano anche fonti dell’AIRC, appare assai limitato il rischio di andare incontro a neoplasie a carico del fegato.

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