Nonostante sia ancora giovane, ed abbia 34 anni, un uomo non potrà più camminare normalmente.
Per deambulare ha adesso necessariamente bisogno delle stampelle o di una sedia a rotelle perché non sarebbe stato operato in tempo dai medici dell’ospedale Civico di Palermo ai quali si era rivolto.

I fatti risalgono alla fine del 2016.
La vicenda viene raccontata dall’edizione odierna del Giornale di Sicilia.
L’uomo in questione, che vive in un paese vicino a Palermo, faceva un lavoro pesante, guidava pale meccaniche ed escavatori. Sino a quando non ha iniziato a star male.

Secondo l’accusa, la sua malattia, la ‘sindrome della cauda’, non sarebbe stata riconosciuta dai medici che lo avrebbero operato in ritardo diminuendo così le possibilità di cura. Ad oggi, per l’uomo, il recupero delle sue condizioni appare solo una chimera.

Cinque medici della Neurochirurgia del Civico sono finiti a giudizio. L’ipotesi di reato, secondo il pm Alfredo Gagliardi, è lesioni colpose gravissime. A processo il primario del reparto, Natale Francaviglia, e ad altri quattro neurochirurghi: Pietro Impallara, Giuseppe Lentini, Giancarlo Perra, Daniele Franceschini. Sono difesi dagli avvocati Michele De Stefani, Francesco La Loggia, Franco Passanisi, Leonardo Raso e Bartolomeo Parrino.

Ad assistere il 34 enne, che si è costituito parte civile, l’avvocato Giuseppe Sceusa.

I legali degli imputati sostengono che quando il paziente si presentò ai medici della Neurochirurgia del Civico era in condizioni che non apparivano compromesse. Le dimissioni che gli furono date dai sanitari, col consiglio di fare una risonanza magnetica tra l’altro non urgente, portarono allo svolgimento dell’accertamento, risultato decisivo per appurare di che tipo di malattia soffrisse. Quindi i neurochirurghi – è sempre la tesi difensiva – non avrebbero commesso errori.

Secondo la Procura le cose sarebbero andate diversamente. Il 5 dicembre del 2016, l’operaio, che allora aveva 31 anni, si era presentato in ospedale con forti dolori, diagnosticati come lombosciatalgia bilaterale, incontinenza urinaria e parestesia “a sella”. In pratica non riusciva a controllare gli stimoli della vescica e aveva una quasi totale insensibilità della zona del perineo e perianale.

Era stata fatta una prima Tac dalla quale era emersa una “protrusione discale circonferenziale con calcificazione paramediana posteriore sinistra”.

L’uomo venne ricoverato con diagnosi di “discopatia lombare con grave deficit funzionale e incontinenza sfinterica in paziente diabetico”.

Ma secondo l’accusa, i medici della Neurochirurgia, non eseguirono altri esami che avrebbero portato ad una diagnosi corretta della malattia per agire di conseguenza.

Il paziente non venne operato subito ma solo dopo 18 giorni. Tra l’altro il 9 dicembre era stato dimesso con il consiglio di rivolgersi presso un ambulatorio di urodinamica per eseguire una risonanza magnetica lombare.

Secondo i consulenti del pm Gagliardi e della parte civile le conseguenze delle dimissioni furono dannosissime per il paziente che oggi presenta “serie difficoltà nella autonoma deambulazione, necessita di ausilio di canadesi e patisce impotentia coeundi, con diretta incidenza sulla impotentia generandi”.

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