Insulti pesantissimi a Giovanni Falcone, la cui morte viene definita “incidente sul lavoro” e che “da quando era andato al ministero della Giustizia più che il magistrato faceva il politico”.

Un linguaggio volgare quello usato da Antonello Nicosia, l’esponente Radicale fermato per associazione mafiosa insieme ad altre 4 persone tra cui il boss di Sciacca. Intercettato per mesi dal Ros e dal Gico della Finanza, parlando al telefono, dava giudizi sprezzanti sul giudice ucciso dalla mafia a Capaci nel 1992. Parole pesanti finite nel decreto di fermo firmato dai pm della Dda di Palermo.

In un primo momento si era diffusa la notizia che Nicosia, originario di Sciacca, fosse nipote dell’ex ministro Calogero Mannino. In tarda mattinata è arrivata la smentita del politico: “Stamani mi viene attribuito un rapporto di parentela con il signor Nicosia, coinvolto in una attuale vicenda giudiziaria. La notizia è assolutamente falsa. La lunga campagna di diffamazione, di calunnia di ingiuria della quale sono ormai vittima trova oggi il suo episodio che ripeto è assolutamente privo di fondamento di verità”.

Nicosia definiva il boss Matteo Messina Denaro “il nostro Primo ministro”. Non sapendo di essere intercettato l’esponente Radicale fermato per associazione mafiosa, parlava della Primula rossa di Cosa nostra come del suo premier. Al telefono discuteva animatamente del padrino di Castelvetrano. E invitava il suo interlocutore a parlare con cautela di Messina Denaro. “Non devi parlare a matula (a vanvera, ndr)”, diceva.

Secondo la Procura il suo ruolo non sarebbe stato relegato alla semplice condiscendenza cultura ma avrebbe fatto da tramite tra capimafia, alcuni dei quali al 41 bis, e i clan, portando all’esterno messaggi e ordini.

La parlamentare al cui seguito Nicosia è entrato in istituti di pena di alta sicurezza come Tolmezzo è Giuseppina Occhionero, 41 anni, molisana. La Occhionero, avvocato, è stata eletta alle ultime elezioni politiche nelle liste di Leu ed è recentemente passata a Italia Viva, il partito di Renzi.

La deputata non è indagata, ma sarà sentita dai pm di Palermo come testimone. Sostenendo di essere collaboratore della donna – i magistrati hanno delegato accertamenti alla Camera per verificare se sia vero – Nicosia poteva avere incontri con padrini mafiosi. Nelle conversazioni intercettate, l’esponente Radicale sottolineava il vantaggio di entrare negli istituti di pena insieme alla deputata in quanto questo genere di visite non erano soggette a permessi.

Nicosia, secondo i magistrati, non si sarebbe limitato a fare da tramite tra i detenuti e le cosche, ma avrebbe gestito business in società col boss di Sciacca Dimino, con cui si incontrava abitualmente, fatto affari coi clan americani e riciclato denaro sporco. Da alcune intercettazioni emergerebbero anche progetti di omicidi. L’inchiesta, condotta da Ros e Gico, è coordinata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Gery Ferrara e Francesca Dessì.

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