Con la quarta edizione del Bando Beni Confiscati, ville, locali, appartamenti e terreni confiscati alle mafie ritornano alle comunità creando opportunità per il territorio. Un risultato importante raggiunto grazie al bando, che conferma un percorso nuovo di valorizzazione sociale ed economica dei beni confiscati che mette in luce, però, alcune criticità formali e sostanziali legate alla loro disponibilità da parte del Terzo settore.

Sette beni confiscati alle mafie, in quattro regioni del Sud, saranno presto valorizzati attraverso attività economiche sociali nel settore agricolo, turistico e della ristorazione, creando servizi per i cittadini, percorsi di formazione e opportunità di lavoro per persone in difficoltà. Sono gli esiti della quarta edizione del Bando Beni Confiscati, promosso dalla “Fondazione con Il Sud” insieme, per la seconda volta, alla “Fondazione Peppino Vismara”.

Le 7 iniziative selezionate coinvolgono complessivamente circa 50 organizzazioni tra associazioni, cooperative sociali, istituzioni locali, università. Sono 2 quelle in Sicilia, in provincia di Palermo. Il contributo totale è di circa 3,2 milioni di euro di risorse private per una media di 400 mila euro per progetto, di cui circa 790 mila euro sono messi a disposizione dalla Fondazione Vismara.

Si va dalla conversione di un edificio confiscato alla mafia a Casteldaccia (PA) in un caffè letterario al progetto di agricoltura sociale bio in terreni confiscati al boss Michele Greco a Polizzi Generosa (PA).

In risposta al bando sono pervenute circa 50 proposte, un numero congruo rispetto all’iniziativa e alle risorse messe in campo, ma sproporzionatamente basso rispetto alle migliaia di beni confiscati inutilizzati al Sud. “Un dato che ci deve far riflettere e che rischia di spuntare l’arma della confisca nel contrasto alle mafie – sottolinea Carlo Borgomeo, presidente della Fondazione con il Sud. L’Agenzia sta facendo molto bene, ma l’assegnazione finale da parte degli enti locali alle organizzazioni del Terzo settore deve essere più rapida e contemplare tempi di utilizzo più lunghi. Spesso i beni arrivano in uno stato di completa devastazione, richiedendo sforzi economici ingenti, e gli enti concedono l’utilizzo del bene solo per pochissimi anni, non permettendo di avviare progetti credibili di valorizzazione”.

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