Siamo sicuri che i risultati del voto in Emilia Romagna non cambino nulla negli equilibri del governo Conte?
Non cadrà certamente per la vittoria sbandierata e persa miseramente  da Matteo Salvini e dalla sua Lega. Ma i risultati del voto nella regione, portano in dote uno scossone enorme che si concretizza nell’incasso poverissimo di voti che gli emiliano-romagnoli hanno tributato al Movimento 5 Stelle.

Val la pena snocciolarli i numeri. Il partito che fu di Beppe Grillo e Roberto Casaleggio (e che non lo è più) ha portato a casa il 3,5% dei consensi. Il suo candidato alla presidenza della Regione è riuscito a guadagnarsi 1 punto virgola 2 in più rispetto al Movimento, ovvero 4,7%.

Il numero è talmente basso che deve essere pronunciato a voce alta per essere compreso: 3,5%. Alle Politiche del 2018 i pentastellati, nella stessa regione, avevano incassato il 27,54%. Due anni fa. E lo scorso anno alle elezioni europee erano già pericolosamente scesi al 12,89%. Non una regressione ma un crollo. Totale. Definitivo. Che gli alleati del Pd al governo con il premier Conte, sempre più aderente al Pd di quanto non lo sia ai 5Stelle, potrebbero facilmente rinfacciare al fu capo politico, Luigi Di Maio.

Di Maio che ha portato in parlamento uno squadrone, ormai due anni fa, ma che ora fa i conti con lo sfilamento progressivo e costante di senatori e deputati che scelgono di lasciare il gruppo in favore della Lega o del gruppo misto.

Alle viste – già domani – c’è il voto sulla proposta del forzista Enrico Costa di bocciare la riforma Bonafede sulla prescrizione che ha già visto in commissione sfilarsi dal monolitico blocco governativo, i renziani di Italia Viva. E forse, forti dei risultati elettorali in Emilia Romagna, anche il Pd potrebbe alzare l’asticella dello scontro.
D’altronde la mossa di Luigino Di Maio di dimettersi dalla guida dei Cinquestelle a pochi giorni dalla debacle annunciata delle elezioni regionali, non ha altra interpretazione se non quella di spostare il “pascolo” grillino dal campo del centrosinistra a quello del centrodestra. Con questo sbattendo la porta in faccia a Beppe Grillo che le ha tentate in tutti i modi per far capire a Giggino che l’alleanza col Pd era l’unica strada. Così è se ti piace. Ma evidentemente al giovane Di Maio non piace. Cosa succederà quindi dentro i pentastellati? La risposta è: boh. E chi è convinto di avere la certezza del futuro, sbaglia di grosso. Si capirà se e come i grillini in Parlamento si posizioneranno all’interno dello stesso Parlamento in carica, in attesa di scomparire come i dinosauri durante l’estinzione di massa del Cretaceo-Paleocene.

Il che, visti i risultati nell’altra alleanza, quella di centrodestra, consente di immaginare un confronto a blocchi contrapposti. Da un lato centrodestra, dall’altro centrosinistra. E basta. Con buona pace di chi vuole rianimare sistemi elettorali proporzionali, brescianellum o germanicum che sia.
La cronaca impone di dar conto anche degli altri risultati. In Calabria vince Jole Santelli di Forza Italia e certamente il cavaliere Berlusconi tenterà di alzare la posta di fronte agli alleati Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Però anche qui i voti parlano: se la Santelli ha fatto fare a Forza Italia, in quella regione, il balzo portando le preferenze al 12,4%, non è riuscita a sedare del tutto l’avanzata degli altri alleati. La Lega di Salvini ha incassato il 12,2% ma soprattutto Fratelli d’Italia di Meloni ha portato a casa il 10,9. Che è un avvertimento chiaro e preciso.
I Cinquestelle si sono fermati al 6,2% avendo perso rispetto alle politiche del 2018 un boato di voti. In quella tornata, il Movimento 5 Stelle, era riuscito ad incassare il 43,39% delle preferenze che erano diventati il 26,69% alle europee dello scorso anno.

E il Pd in Calabria? Udite, udite: è il primo partito al consiglio regionale con il 15,4% dei voti. Ed è primo partito, la vera notizia, anche in Emilia Romagna con il 34,7% dei voti contro il 32 secco della Lega. Togliendo, quindi, a Salvini pure la possibilità di rompere i cabasisi in consiglio regionale.

Alla fine, insomma, il partito democratico di Nicola Zingaretti l’ha vinta su tutta la linea. E siccome Zingaretti stupido non è, oggi ha pensato bene di tributare “un grazie immenso” al movimento delle Sardine. Omaggiando così, parlando a suocera perché intenda nuora, il vero ispiratore nascosto del movimento, Romano Prodi. A cui, non c’è dubbio, il segretario Pd si rivolgerà o l’ha già abbondantemente fatto, per gestire la rifondazione dei democratici che ha annunciato qualche settimana fa.

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