“E’ stato Alfio Sambasile a sparare con la sua pistola a Sebastiano Garrasi, colpendolo alla testa ed al fianco”. Lo ha svelato ai giudici della Corte di Assise di Siracusa, collegato da una località segreta, Alfio Ruggeri, lentinese, collaboratore di giustizia, ex esponente del clan mafioso Nardo di Lentini, chiamato dal pm della Dda di Catania, Alessandro La Rosa, a testimoniare sull’omicidio di Sebastiano Garrasi, ammazzato nell’aprile del 2002 in un fondo agricolo del Lentinese, per cui sono sotto processo Raffaele Randone, 46 anni e Alfio Sambasile, 57 anni. Un delitto che, secondo quanto emerso nelle indagini della Procura distrettuale di Catania, sarebbe connesso al desiderio della vittima di costituire un proprio gruppo criminale, sganciato dalla potente cosca lentinese del boss Nello Nardo, legata alla famiglia Santapaola di Catania.

Il pentito, nel corso della sua deposizione, ha spiegato che Garrasi era scampato ad un precedente tentativo di omicidio. A compierlo, come ha spiegato il collaboratore, sarebbero stati Franco Malino e Delfo La Fata ma la vittima avrebbe riconosciuto Malino, come confermato a quest’ultimo da Sambasile, per cui si decise di ideare un altro piano omicida.

Si sarebbe fatto avanti lo stesso Ruggeri che, parlando con Garrasi, gli avrebbe detto che sarebbe stato necessario trovare un rifugio a Sambasile, in quel momento latitante, e per arrivarci avrebbero stabilito di recarsi con due macchine. Dalla ricostruzione fornita dal pentito, Garrasi sarebbe stato nella stessa auto di Sambasile ma nel tragitto avrebbero fatto salire a bordo Raffaele Randone ed un’altra persona. Da dietro, Randone dopo aver estratto un coltello da sub avrebbe provato ad accoltellare a morte Garrasi con l’aiuto dell’altro passeggero ma non riuscendoci sarebbe intervenuto Alfio Sambasile che avrebbe estratto la sua pistola, colpendolo con due proiettili, alla testa e ad un fianco salvo poi rimproverare i due complici non solo per non essere riusciti ad ammazzare Garrasi ma anche perché gli avrebbero fatto usare un’arma che avrebbe voluto rimanesse “pulita”.