Annullare l’assoluzione emessa in favore di Vito Mazzara, presunto killer di Mauro Rostagno, e confermare l’ergastolo a carico di Vincenzo Virga, il capomafia di Trapani ritenuto il mandante dell’omicidio del sociologo e giornalista avvenuto il 26 settembre del 1988 nel trapanese.

Lo ha chiesto il Pg della Cassazione Gianluigi Pratola nella sua requisitoria davanti alla Prima sezione penale della Suprema Corte che deve decidere sul ricorso della Dda di Palermo contro il proscioglimento di Mazzara – pronunciato dalla Corte di Assise di Appello di Palermo nel febbraio 2018 – e sul ricorso presentato dalla difesa di Virga contro la massima pena.

Il 22 febbraio dell’anno scorso, il gup di Trapani, Emanuele Cersosimo, ha rinviato a giudizio, per falsa testimonianza, tredici testi del processo contro gli autori dell’omicidio.

Anche in appello, sulla scorta di quanto accertato in primo grado, era stata confermata con la condanna del mandante all’ergastolo e nonostante l’assoluzione del presunto sicario, la tesi che Mauro Rostagno venne eliminato perché dagli schermi di un’emittente locale aveva alzato il velo sugli interessi di Cosa nostra a Trapani, intrecciati con la politica, gli affari e i poteri occulti.

Vincenzo Virga, ritenuto la figura centrale della regia del delitto, trent’anni fa era il rappresentante “provinciale” della cupola mafiosa: l’agguato a Rostagno che era a bordo della sua Duna, avvenne a Lenzi, vicino Trapani, il 26 settembre 1988.

Rostagno venne prima colpito in auto e poi finito. Prima di morire riuscì a fare rannicchiare e a salvare la segretaria Monica Serra che era al suo fianco. L’accusa era convinta che a impugnare il fucile, spezzato dalle esplosioni, fosse stato Vito Mazzara, capomafia di Valderice: sembravano portare a lui e a un suo parente biologico non identificato le tracce di Dna ritrovate sull’arma, per questo gli era stato inflitto all’ergastolo. La condanna si aggiungeva a un altro ergastolo per l’uccisione nel 1995 dell’agente di custodia Giuseppe Montalto.

In appello, i legali di Mazzara hanno messo in discussione l’affidabilita’ degli esami scientifici. E la corte d’assise d’appello, dopo aver acquisito un manuale dei criteri di interpretazione delle tracce di Dna, ha optato per l’assoluzione ribaltando il giudizio di primo grado.

Il processo di secondo grado ha confermato comunque la tesi secondo cui Rostagno svolgeva un “esemplare lavoro giornalistico” dall’emittente Radio Tele Cine che dava fastidio alla mafia. Rostagno, dopo gli studi in sociologia a Trento e gli anni della contestazione era arrivato a Trapani per fondare la comunità di Saman per tossicodipendenti.

Con i suoi interventi e le inchieste per Rtc, il giornalista-sociologo era diventato un bersaglio per Cosa Nostra. ‘Camurria’, ossia rompiscatole, lo aveva apostrofato Francesco Messina Denaro, padre del superlatitante Matteo. Prima di arrivare a queste conclusioni, la magistratura si era scontrata con omissioni prolungate, sottovalutazioni inspiegabili, depistaggi. Perfino il tentativo di riportare a storie private all’interno della comunità Saman la matrice del delitto.

Solo 25 anni dopo arriva la svolta con il rinvio a giudizio di Virga e Mazzara, e la ricostruzione del contesto dell’agguato ha preso finalmente una direzione precisa. La figlia di Rostagno, Maddalena, l’otto novembre ha dato sui social la notizia della conferma dell’udienza di oggi in Cassazione.

“L’atto finale me lo vivrò chiusa in cameretta e non in un’aula di Tribunale” ha scritto Maddalena che oggi ha 47 anni ed era una ragazzina quando suo padre venne ucciso. “Papà potessi raccontarti cosa stavo facendo quando mi è stata confermata, neanche Kafka, sempre le solite storie di ego smisurato e piccioli… Madonna mia quanto avrei bisogno di respirare adesso con te accanto”, si è sfogata la figlia di Rostagno che da 32 anni attende giustizia.

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