Scoppia la guerra sui precari Asu, quelli che sono stati spesso definiti gli ‘Amministrativi socialmente utili’ ovvero l’ultimo gruppo di precari siciliani ancora rimasti senza una stabilizzazione neanche part time come scattata, invece, per altre categorie.

Figli della stagione nata negli anni ’70 e chiusa negli anni ’90 sono gli ultimi precari introdotti nel sistema italiano, principalmente al Sud e  principalmente fra Sicilia e Campania, ed essendo gli ultimi ad essere impiegati con il sistema delle ‘cooperative’ c’è chi sostiene che infondo sia giusto siano anche gli ultimi rimasti precari.

Ma di giusto e corretto in tutta questa storia del precariato c’è ben poco. Ci fu poco in quegli anni nel sistema usato per reclutare questo personale, un sistema chiaramente clientelare sia alla nascita delle cooperativa che dopo ad ogni rinnovo dei loro contratti. Gente tenuta sotto scatto dal politico di turno. Un sistema, quello del precariato pubblico, per il quale l’Italia è stata condannata dall’Unione Europea

Di giusto c’è poco anche per loro, precari da 20-25 anni e sempre condannati a rimanerlo, nell’incertezza del futuro portata fino alla soglia del pensione per alcuni.  E adesso l’ultima beffa con l’impugnativa della legge per la loro stabilizzazione che fa scoppiare la guerra fra Palermo e Roma.

Ma chi sono gli Asu e cosa fanno veramente? Inizialmente erano ben 40mila ma nel tempo il bacino si è assottigliato fra prepensionamenti, incentivi all’esodo, fuoriuscite spontanee e e assunzioni in altri settori e concorsi.

Oggi i pecari Asu siciliani 4571 di cui pubblici 3880 utilizzati direttamente  dagli Enti Pubblici siciliani mentre 671 (circa il 15%) restano ancora impiegati nelle cooperative d’origine che però sono mono committenti e lavorano tutte per la pubblica amministrazione.

La maggioranza sono donne, esattamente 3434 mentre gli uomini non sono neanche un quarto del totale, 1137.

Sono tutti pagati con fondi regionali a prescindere dal luogo di lavoro. In origine una parte era pagata dallo Stato ma è intervenuto un accordo con la Regione che si è fatta carico dell’intera platea.

Di questi 4571 quasi 300 (in origine erano più di 400) sono impiegati direttamente dalla Regione nel sistema dei Beni Culturali. Attualmente, con i pensionamenti del personale regionale, in Musei, siti e parchi archeologici, sono rimasti quasi soltanto loro a garantire l’apertura dei siti. Formalmente non sono custodi ma sono loro che aprono e chiudono, che staccano i biglietti (la dove non c’è un intervento in affidamento ‘esterno’), che stanno nelle sale dei musei siciliani a controllare che turisti e visitatori non tocchino nulla.

La maggioranza degli altri quasi 4300 lavora nei Comuni siciliani. Di fatto fanno gli amministrativi, il personale d’ordine. Aprono e chiudono le delegazioni, assistono i Consigli di Quartiere e ciascuno di noi può averne incontrato uno allo sportello chiedendo una informazione per il rilascio di un certificato anagrafico o il rinnovo della carta d’identità. Fanno front e beck office e quando li incontriamo li consideriamo dipendenti comunali ma non lo sono. In piccole realtà alcune anche in dissesto o a rischio dissesto di fatto rappresentano il 70% del personale e coprono anche l’80%dei servizi comunali

Vale lo stesso per quanti sono usati nelle ex province con funzioni amministrative e d’ordine o nelle Camere di Commercio.

Infine quel 15% che è rimasto nelle cooperative che rappresenta la fascia più a rischio di tutti. Operano in regime privato in rapporto con la cooperativa di riferimento ma prestano servizi di assistenza sociale e protezione civile nelle parrocchie ad esempio o nell’assistenza in affidamento. Per loro anche la legge che prevedeva la stabilizzazione non sarebbe stata utile tanto che un comma di quella legge invita il governo a trovare una soluzione aggiuntiva per i 671, soluzione che ancora non c’è, neanche nella legge teatro di conflitti Roma Palermo

 

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