E’ stato disposto il carcere per 12 dei 16 fermati dalla Dda di Palermo nei confronti di boss, gregari e “colonnelli” di Cosa nostra finiti in manette il 20 luglio nell’ambito di una inchiesta sul mandamento mafioso di Ciaculli-Brancaccio.

Gli indagati restano in carcere – tranne Ignazio Ingrassia che è ai domiciliari per motivi di salute – perché il giudice ha applicato la tutti la custodia cautelare.

Sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti sono finite “famiglie” storiche della città come Corso dei Mille, Roccella,
Brancaccio e Ciaculli. Al vertice del mandamento ci sarebbe Giuseppe Greco, nipote di Michele Greco detto “il papa”. Dopo l’arresto del cugino Leandro Greco, interessato a realizzare un cimitero privato vista l’emergenza sepolture a Palermo, il mandamento mafioso è stato retto da Giuseppe che si è occupato di tenere i rapporti con le altre famiglie mafiose.

Al suo fianco c’era Ignazio Ingrassia detto “il boiacane”, un anziano mafioso con importanti reazioni con la mafia americana. Greco e Ingrassia controllavano capillarmente il territorio intervenendo anche nella compravendita di terreni e immobili e gestendo il mercato della droga.

il giudice ha disposto il carcere per Giuseppe Greco (nipote del “papa” di Cosa nostra, Michele, che avrebbe preso il controllo del clan di Ciaculli dopo l’arresto del cugino Leandro con il blitz Cupola 2.0), Giuseppe Caserta (che appena scarcerato, il 31 maggio scorso, si sarebbe subito rimesso in pista), Sebastiano Caccamo, Girolamo “Jimmy” Celesia, Maurizio Di Fede, Giovanni Di Lisciandro, Giuseppe Giuliano, Salvatore Gucciardi, Stefano Nolano, Gaspare Sanseverino (nipote del pentito Gaspare Spatuzza) e Filippo Marcello Tutino.

Le posizioni di Rosario Montalbano, Onofrio Claudio Palma, Giuseppe Ciresi ed Angelo Vitrano sono invece al vaglio del gip di Termini.

L’inchiesta ha svelato 50 estorsioni: nessuna commerciante ha denunciato il racket. Anzi dall’indagine emerge che le vittime pagavano senza ribellarsi limitandosi a chiedere al boss di non scrivere il loro nome nel “libro mastro” per evitare di avere guai giudiziari in caso di sua scoperta.

I fermi erano stati eseguiti dalla polizia di Stato e dai carabinieri.

Articoli correlati