“Liberi dai veleni”. Nel giorno in cui venne ucciso Rosario Livatino, Legambiente Sicilia ed il circolo Legambiente Rabat di Agrigento hanno fatto un blitz oggi all’enorme discarica abusiva piena di eternit-amianto, realizzata sui terreni confiscati dal giudice, in contrada Gibbesi a Naro.

Legambiente: “Vicenda nota e scandalosa”

“È una vicenda non solo scandalosa ma vergognosa. Quel sito – dichiara Daniele Gucciardo, presidente del circolo Rabat – è una vera e propria bomba ecologica, da anni vengono accumulati rifiuti speciali e pericolosi senza che nessuno abbia alzato un dito. Vicenda ancora più grave perché dimostra l’assoluto menefreghismo nei confronti del lavoro del giudice e dell’importanza sociale dei beni confiscati alla mafia. Siamo al fianco della cooperativa Rosario Livatino e contro il Comune di Naro che non è mai intervenuto. Nel territorio di Agrigento la presenza di Eternit è un fatto acclarato, ci sono tante ditte che si sono specializzate per lo smaltimento dell’amianto ma sulle quali nutriamo molti dubbi. Ci sarebbe da indagare perché c’è un evidente problema nella filiera dello smaltimento che in parte è in nero”.

Una vicenda che parte da lontano

Quel che accade in quest’area viene considerato uno “schiaffo” alla memoria di Rosario Livatino, giudice ucciso dalla mafia e beatificato lo scorso maggio. Infatti proprio Livatino aveva puntato la sua attenzione in questo lembo di terra, disponendone anche il sequestro perché lo considerata “terra di mafia”. Si arrivò alla confisca, con l’acquisizione di questo terreno al patrimonio indisponibile del Comune di Naro sottraendolo quindi alla famiglia ritenuta mafiosa dei Guarneri. Nove anni fa si è anche riusciti a dare in gestione questo terreno ad una cooperativa antimafia ma già allora questi rifiuti erano lì e nel corso degli anni la discarica si è sempre più ingrossata sino ai giorni nostri.

Il giudice “ragazzino”

Livatino, al momento della morte, da qui l’appellativo di “giudice ragazzino” aveva 37 anni. Durante il processo di beatificazione, iniziato nel luglio del 2011, la Chiesa ha raccolto molteplici testimonianze riguardo la vita di Livatino, vero uomo di fede e giudice coraggioso. Tra i suoi tanti scritti analizzati, è stata ritrovata una frase che è divenuta simbolo della sua abnegazione e della sua magnifica tempra e che è diventata una sorta di eredità morale: “Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. Livatino, che la mattina, prima di recarsi al lavoro al tribunale di Agrigento, entrava sempre in una vicina chiesa per una preghiera, era ben consapevole del rischio che correva, e nel ‘fastidio’ che stava arrecando alla criminalità organizzata locale, tuttavia non arretrò mai di un passo nella sua lotta alla mafia. Oggi il giudice ragazzino è un esempio per tutti, anche per le nuove generazioni che non lo hanno conosciuto, tanto che, proprio a partire da oggi, in sua memoria, si tiene a Canicattì la seconda edizione del Festival della Legalità che per cinque giorni coinvolgerà giornalisti, magistrati e artisti con incontri, talk, workshop, teatro, musica e danza.

 

 

 

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