I carabinieri della compagnia di Canicattì hanno arrestato un pluripregiudicato di Santa Elisabetta, piccolo comune dell’agrigentino, attualmente affidato in prova ai servizi sociali dal tribunale di sorveglianza a seguito di una condanna per violenza privata, in esecuzione dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale di Agrigento. Questa volta l’accusa nei suoi confronti è pesantissima: violenza sessuale su minore, maltrattamenti in famiglia e lesioni.

Le indagini partite un mese fa

Le indagini sono iniziate lo scorso mese di agosto, quando una ragazzina di 16 anni di Santa Elisabetta ha chiesto aiuto ai carabinieri, accennando i gravissimi comportamenti del patrigno che gli avrebbe rivolto delle “attenzioni proibite”. Un racconto iniziale che ha immediatamente allertato la Procura della Repubblica di Agrigento, impegnata con i carabinieri in un “codice rosso” che ha richiesto l’approfondimento del riservatissimo contesto sabettese e del chiuso delle sue famiglie.

La sottomissione della vittima

Gli inquirenti hanno documentato la sottomissione subita dalla giovanissima vittima, prima oggetto di attenzioni particolari, iniziate addirittura quando aveva appena 10 anni, e poi, in una escalation tesa a vincerne la resistenza, assaltata in assenza dei familiari conviventi e sottoposta a violenti atti sessuali. Altrettanto gravi le annotazioni dei carabinieri riguardo i maltrattamenti patiti dal fratello minorenne della ragazzina, picchiato dal patrigno da quando aveva 8 anni e sottomesso al punto di credere di meritare le punizioni fisiche, inflittegli: “…quando faccio cavolate ma per me questo non è normale…”, raccontate agli inquirenti come l’espressione di una violenza “…forte anche se non in maniera esagerata…”.

L’utilizzo di un tubo per picchiare

È comune nel racconto delle due vittime la presenza della “sucalora”, termine dialettale siciliano usato per indicare il tubo di gomma brandito dal patrigno per picchiarle. Una prigione domestica fisica e psicologica, costruita dall’indagato con l’imposizione del silenzio sulle sue condotte e con una serie di vessazioni quali il divieto per le giovanissime vittime di frequentare i coetanei, i lunghi periodi di punizione trascorsi chiusi in casa e, per la ragazzina, il divieto di indossare la minigonna e di truccarsi. L’indagato, valutato come “proclive a commettere delitti della stessa specie” in quanto era proprio affidato in prova ai servizi sociali per simili fatti, è stato rinchiuso nel carcere di Agrigento.

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