Tre imprenditori agli arresti domiciliari, otto interdizioni dall’attività di impresa e sequestro beni per mezzo milione.

Il provvedimento è stato eseguito dalla Guardia di Finanza a carico di imprenditori che avrebbero percepito indebitamente contributi pubblici

Un sofisticato sistema di frode

Le indagini svolte dai Finanzieri della Tenenza di Patti, coordinati dal Gruppo di Milazzo, avrebbero consentito di disvelare un sofisticato sistema di frode attraverso il quale gli indagati avrebbero percepito, indebitamente, fondi pubblici, per un importo di oltre un milione di euro.

Le indagini delegate dalla Procura della Repubblica di Patti, nella persona del Procuratore Capo  Angelo Cavallo e del Sostituto Procuratore Alessandro Lia, avrebbero consentito di individuare nei pattesi S.P.G. 50 anni e L.C.41 e nel gioiosano I.G.R. 30 anni, tutti destinatari degli arresti domiciliari, i membri del direttorio di un complesso gruppo criminale, capeggiato dal primo e che, secondo le accuse, era finalizzata alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’emissione ed utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, fino alla frode fiscale.

Sfruttando anche amici e parenti, sotto la direzione del dominus S.P.G. a decorrere dal 2016 , venivano costituite ben 10 società, di cui due amministrate di diritto dagli altri due  e le rimanenti 8 da terzi soggetti, oggi tutti destinatari del provvedimento di interdizione.

Imprese inesistenti

Tutte attività d’impresa interconnesse, non solo per via dei rapporti interpersonali esistenti, ma soprattutto per la ritenuta fittizietà di numerosi rapporti economici intercorsi tra le stesse, formalmente attive in eterogenei settori d’impresa, dal commercio all’ingrosso di altri prodotti alimentari, all’attività di stampa, al commercio di macchine e attrezzature, alla costruzione di edifici e sino all’attività di catering e ristorazione, il tutto finalizzato all’ottenimento di ingiusti profitti.

Illeciti introiti ottenuti non solo attraverso la produzione e utilizzo indiscriminato di false fatture per documentare il sostenimento di spese relative a 4 progetti d’investimento, assistiti dal Fondo centrale di Garanzia della Banca del Mezzogiorno Mediocredito Centrale, ma anche per non aver onorato, successivamente all’avvenuta erogazione, i connessi impegni assunti con il contratto di finanziamento.

Quattro progetti sono fittizi

Solo sulla carta i 4 progetti d’investimento, per un importo totale pari ad oltre un milione di euro, avrebbero dovuto essere destinati alla realizzazione di pasta “bio” di elevata qualità, prevedendo anche la ristrutturazione – poi rivelatasi “fantasma” – di un opificio industriale ubicato in provincia di Enna, addirittura prevedendo la digitalizzazione dell’azienda e millantando l’introduzione di sofisticati e moderni macchinari, nella realtà mai acquistati dalla capofila: non veniva rinvenuta in sede di ispezione del presunto stabilimento alcuna pasta “bio”, di cui peraltro non risultava essere mai stata avviata la produzione, rilevando di contro un imponente presenza di ratti, segno tangibile di un completo stato di abbandono.

Secondo le indagini in realtà non esistevano neanche le sedi delle società emittenti/riceventi ne la documentazione commerciale, in quanto sprovviste di reale struttura logistica/aziendale, talune totalmente prive di dipendenti a fronte di fatturati significativi.

Un giro vorticoso di fatture per 21 milioni

Un giro vorticoso e milionario di documentazione falsa, pari a ben 21 milioni di euro tra fatture false emesse e ricevute e che solo una meticolosa analisi della documentazione contabile delle società coinvolte ha consentito di ricostruire nel dettaglio.

Le Fiamme Gialle pattesi eseguivano anche mirate ispezioni fiscali che, oltre a portare alla tassazione dei proventi illeciti quantificati in oltre 1 milione di euro, riferibili all’importo totale del contributo frodato, consentivano di segnalare all’Agenzia delle Entrate di Messina e alla Procura della Repubblica di Patti importanti valori frutto di evasione fiscale, per oltre 4 milioni tra IVA e IRAP.

A tutti venivano contestati reati tributari oltre alla presunta truffa sui contributi