Salvatore Di Gangi, il capomafia di Sciacca di 79 anni trovato morto in una galleria della stazione Principe di Genova, non è stato ucciso. È quanto emerge dall’autopsia eseguita oggi su incarico del sostituto procuratore della Dda di Genova Federico Manotti. Ancora da chiarire se il decesso sia stato causato da un malore o dall’impatto con un treno.

Le indagini proseguono

Intanto proseguono le indagini per ricostruire con esattezza quanto successo sabato, ultimo giorno di vita dell’anziano. Di Gangi era stato scarcerato il 26 novembre dal carcere di Asti per “gravi deficit cognitivi incompatibili con il regime carcerario”. Il pm, che coordina l’indagine della squadra mobile e della polizia ferroviaria, vuole capire se vi sia stato un abbandono di persona incapace.

I dubbi degli inquirenti

Qualcuno, si chiedono gli inquirenti, ha chiamato dal carcere i familiari per comunicare la scarcerazione? E, ancora, il capotreno che lo ha fatto scendere a Principe perché non aveva il green pass ha capito di trovarsi davanti a un uomo che non era in grado di gestirsi da solo? A questi quesiti dovranno rispondere le indagini.

I familiari non credono all’incidente

I familiari del capomafia di Sciacca hanno nominato un perito di parte che ha assistito all’autopsia disposta dalla Procura della Repubblica. A chiarire i motivi della decisione il figlio Alessandro: “Mio padre – dice – non è stato investito da un treno come è stato detto, ma assai probabilmente è morto per un malore sopraggiunto per un deficit da insulina“. Di Gangi aggiunge di avere appreso dalla polizia ferroviaria che il macchinista del treno si sarebbe accorto del corpo riverso sui binari, fermandosi in tempo e lanciando l’allarme. Il boss, che era detenuto nel carcere di Asti, era stato rimesso in libertà su disposizione della corte d’appello di Palermo, che aveva sostituito la pena detentiva a 17 anni (ridotti dai giudici a 13 anni e 4 mesi) con gli arresti domiciliari, che avrebbe dovuto scontare a Sciacca.

 

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