Avrebbe dialogato con pregiudicati e quindi violato il “codice di condotta” a cui devono attenersi i pentiti. Per l’ex boss Palermitano Alfredo Geraci, 43 anni, è finita l’era del sostegno dello Stato per la sua scelta di collaborare con la giustizia. Così è stato deciso, secondo quanto trapela da notizie giornalistiche, dalla commissione pentiti del Viminale che ha esaminato il suo caso. Alcuni pregiudicati sarebbero stati in contatto con Geraci. Non si ha contezza però quale sarebbe stato il tenore di questi contatti e il motivo.

Niente benefit

Il nocciolo ruota attorno al cosiddetto “codice di condotta” a cui ogni collaboratore deve attenersi. Geraci comunque rimarrà sempre sotto vigilanza per assicurare la sua incolumità e quella della famiglia. In questo modo decade ogni tipo di benefit economico per via della revoca del programma di protezione.

Due anni fa il salto del fosso

La decisione di Geraci di cominciare a parlare avvenne nel 2020. Aveva cominciato la sua carriera criminale dal basso, facendo il ladro e il rapinatore, per poi passare nel rango di Cosa nostra come estorsore e tuttofare della cosca di Porta nuova retta dal boss Alessandro D’Ambrogio. Geraci è stato arrestato nel settembre del 2019 ad Altofonte dalla polizia perché accusato di associazione mafiosa. Era latitante dal 24 luglio 2019, quando la Corte d’Appello aveva disposto la custodia cautelare in carcere. Gli agenti lo hanno trovato in un appartamento ad Altofonte, ospite di un uomo di 54 anni che aveva una pistola rubata. Geraci venne assolto nel processo nato dall’inchiesta “Alexander”, del 2013, che disarticolò la mafia di Porta Nuova ed era stato riarrestato nell’inchiesta antimafia Panta Rei del 2015.

Gli intrecci della cosca di Ballarò

Uscito indenne al primo grado di giudizio, in secondo grado la corte d’appello ne rivede la posizione e nel luglio del 2020 aveva spiccato a suo nome un’ordinanza di custodia cautelare che ne disponeva gli arresti domiciliari. Geraci ha raccontato degli interessi mafiosi a Ballarò, di alcune estorsioni ai locali del centro storico, delle attività che ruotano attorno al contrabbando di sigarette, e di come si occupava di organizzare summit tra esponenti mafiosi di livello più alto. In uno di questi incontri, di cui aveva già parlato il pentito Vito Galatolo, si accennò dell’attentato al magistrato Nino Di Matteo. Geraci però in quella riunione fece solo il “portiere” accogliendo i mafiosi. Degli argomenti trattati, dice lui, gli avrebbe riferito qualcosa D’Ambrogio.

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