• Le eccezionali sculture di nodi create da Sylvie Clavel
  • L’artista francese si racconta in una intervista
  • Il suo appello

Sylvie Clavel, l’artista dei nodi, da Parigi ad Agrigento dà vita a solenni sculture da trent’anni, opere d’arte in tessuto imperniate sull’intreccio di fibre vegetali con risultati a dir poco eccellenti.
Ce l’ha suggerita vivamente La scrittrice Daniela Gambino. “Simo, – mi dice Daniela – la devi assolutamente intervistare, è la donna più potente che abbia conosciuto ad Agrigento, non solo perché immagina enormi Fenici, madri ed esseri fuori dal tempo che tira fuori dalla sua testa, filo dopo filo, ma perché cucina, ama la Sicilia e conosce i cibi e le stagionalità meglio di me che sono autoctona. E’ una donna in contatto con un universo ineffabile, ti assomiglia, lei ha sempre il capo di un filo in mano, entrambe siete capaci fare opere d’arte”.

Tutto parte da un libro sui nodi

“Nel 1973, Jane, un’amica americana – racconta Sylvie – mi ha regalato un libro dove ho imparato a fare i nodi. Ho sempre ricorso a questo testo come se fosse una sorgente di sapere” . Dietro i suoi lavori c’è però “il disordine, la confusione, il caos, il “non sapere quello che succederà – prosegue – rispettando la creazione e il risultato, l’uno ha bisogno dell’altro, e questa fase è ricca di vita imprevedibile. Senza strategie e calcoli”.

Trent’anni fa il trasferimento in Sicilia

La Clavel, si innamora e si trasferisce nell’Isola trent’anni fa, dopo un lungo periodo a Sambuca di Sicilia – dove una ventina dei suoi lavori sono esposti fino al 2024 all’ex monastero di Santa Caterina –  adesso ha una casa ad Agrigento da cui guarda, tutti i giorni, la magnifica Valle dei Templi.
Qualche anno fa ha esposto le sue opere presso la Villa Aurea, in occasione della mostra Phénix|Fenice. La villa situata lungo la via Sacra, della Valle: una esperienza forte, un dialogo con la storia, da cui è nato un bel catalogo a cura di Rita Ferlisi.

Annodare gesto semplice e universale

A Sylvie la definizione di artista in effetti va stretta, prosegue infatti: “Ho iniziato con la danza: dagli 8 ai 26 anni l’ho studiata e praticata, fino a quando un incidente mi ha costretto a cambiare strada. Da lì ho cominciato a insegnare yoga viaggiando comunque sempre tra Parigi e l’America, dove grazie ad un libro ho scoperto l’arte del nodo”. Si trattava di Macramè di Dona Z. Meilach.
“Il nodo piatto, la mezza chiave, il nodo della scimmia, li ho trovati fra queste pagine – prosegue la Clavel -, per me annodare è un gesto semplice e universale.
Le corde, i fili, legati insieme, uniti nella giusta tensione riescono a raggiungere una forma, una figura desiderata”.

Sculture uniche al mondo

Sylvie quindi sviluppa una sua particolarissima tecnica artistica, che usa per legare, fare e disfare, creando grandissime sculture uniche al mondo. “Io annodo con le dita. Le mie mani sono il mio strumento di lavoro”.
È anche attraverso la storia legata alle sue creazioni –  che rimandano ad archetipi culturali mitologici e tribali – che Sylvie, dunque, lascia segni d’arte fuori dal “tempo cronologico”, quello che gli antichi Greci chiamavano “kairos”.

Un percorso accidentale

“Il mio percorso è accidentale, io non mi sono mai mossa verso queste sculture. Non mi sono formata nell’ambito delle belle arti. L’attrazione era più basata su un processo naturale, legato al gioco e al piacere. L’africano per esempio, è un assemblaggio, un comporre, la maschera è regalata, un dono, il tronco è una stampa d legno trovata in una fonderia. Sono parti dei miei viaggi, delle mie esperienze. Non mi sono detta ‘adesso annodo l’africano’”. Sylvie comincia ad annodare nel suo appartamento e non c’è attitudine o intenzione. “Perché tutti credono che ci sia un disegno preparatorio, mentre è casuale, è intimamente legato a un sentire interiore. Un concorso di circostanze”. In sostanza rappresenta una maniera per combattere stereotipi e categorie, “io non credo che l’arte ponga limiti. Ti puoi affidare a una disciplina, ma tutto è fuori dal tuo controllo. Tu devi comporre con quello che la vita ti mette davanti. Bisogna raccapezzarsi fra i cordami, non perdere il filo, io non controllo la materia è la materia che lo fa per me”.

L’appello di Sylvie Clavel

Sylvie Clavel, fra le altre attività, ha esposto a Palermo nell’ambito della collettiva Arti al femminile, nel 2009 presso la Fondazione Gibellina, una collettiva curata da Marina Giordano. Nel 2011 una sua opera è in mostra  in Val d’Aosta, Arte/Canapa/Design, curato da Gabriella Anedi.
In seguito a un appello pubblico raccolto da alcune testate locali, ha espresso la volontà di operare in maniera pratica in città. Che vuol dire questo? “Mi piacerebbe dare il mio apporto e avere nuove occasioni di fare mostre, collaborare con gli enti, incontrare i curiosi, gli appassionati, quanti mi seguono e quanti hanno solo desiderio di vedere un’artista mentre lavora.
Mi piacerebbe se ad Agrigento si aprissero più botteghe d’arte e si curassero, inserissero negli itinerari turistici, affettivi, emotivi, quelle già esistenti – scrive nel suo appello –. Mi piacerebbe notare una maggiore coesione fra chi opera nell’arte in questa città.
Mi piacerebbe che l’arte fosse percepita come opportunità di crescita civica. L’arte è un modo per sognare insieme, per trasformare il mondo e creare un rapporto con l’ambiente. Vedere una mostra, salvaguardare gli artisti, non sono azioni superflue ma necessarie, per la crescita di una città”.

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