Fine quarantena significa guarigione e ritorno alla vita più o meno quotidiana, ma per alcuni agrigentini – e non solo – invece di una meta di liberazione, rappresenta un incubo. Come raccontano alcuni lettori, esasperati perché da giorni provano a contattare l’Asp senza risposta.

E’ il caso di una cinquantenne che ha trascorso diversi giorni isolamento, ha eseguito il tampone, ma ha tentato di mettersi in contatto con l’ufficio competente per la certificazione di fine quarantena ma non ci è riuscita. Il sistema che le avevano indicato con il quale interfacciarsi per sapere il risultato del tampone risultava non funzionante. Dunque un’odissea che in questo periodo stanno vivendo tanti italiani.

“Il problema dei cittadini prigionieri a casa purtroppo è un problema reale, che coinvolge tutta Italia – spiega il commissario straordinario dell’Azienda Sanitaria Provinciale di Agrigento, Mario Zappia – perché è legato ai tracciamenti, che sono diventati enormi. Bisogna tenere conto, che ogni positivo ha in media 20 contatti stretti. Quindi, se moltiplichiamo i positivi che abbiamo ad Agrigento, diventano tante le persone. Quindi, con l’aumento esponenziale dei positivi è diventato un problema pratico, perché se devi fare 4000 telefonate e 4000 contatti da controllare non è facile. Questo non vuole essere una scusante, perché dobbiamo vedere come fare”.

“Per ovviare a questo – spiega – abbiamo fatto una convenzione con i medici di medicina generale, ai quali forniremo loro la password per entrare nel sistema. Questo metodo, l’abbiamo attivato pochi giorni fa, ma dobbiamo vedere quando si attiva distretto per distretto”.

“Ho già riunito i direttori di tutti i distretti, per verificare che i medici siano nelle condizioni di poter accedere ed eventualmente all’inizio affiancarli noi. In questo modo, risolveremo il problema. Basterà che il medico curante acceda al portale per visualizzare il risultato del tampone del proprio paziente. Di conseguenza, non sarà più necessario che si carichino i dati. Quindi, nel momento in cui il nostro laboratorio carica il risultato, il medico di famiglia può visualizzare il risultato”.

Di recente sono state diverse le polemiche che hanno coinvolto l’Ospedale “San Giovanni di Dio” e a lanciare l’allarme è stato l’ex sindaco di Agrigento Lillo Firetto.

Firetto in un’intervista telefonica aveva spiegato che “in ospedale si è creata una commistione e i percorsi non sono dedicati. I medici non parlano perché sono terrorizzati e si trovano in una situazione difficilissima perché sono messi sotto scopa dalla dirigenza dell’Asp”.

“Io atterrisco a sentire queste cose – afferma il Commissario straordinario dell’Asp -. Se fosse così sarebbe una cosa gravissima. Perché qualcuno dice questo? E’ grave quello che si dice. Gli ingressi separati tra reparto di covid e non covid non sono mai stati tolti perché la pandemia ufficialmente non è finita. Se qualcuno ha avuto questa sensazione può essere che ha avuto una sensazione di allentamento in generale. Spero che questo non sia successo perché sarebbe grave”.

Ma Firetto, non aveva solo parlato di commistione e percorsi non dedicati, ma anche di personale medico, personale infermieristico e pazienti.

Alle parole dell’ex sindaco non era tardata ad arrivare la risposta dell’Asp in merito alla vicenda che scrive: “In riscontro alla presenza di casi di positività al covid-19 presso il presidio ospedaliero “San Giovanni di Dio” si conferma di aver rilevato casi positivi ‘a macchia di leopardo’ fra i pazienti di alcuni reparti della struttura. Gli stessi pazienti sono stati immediatamente posti in isolamento e trasferiti presso il reparto di medicina-covid. Per ciò che concerne il personale, la Direzione dell’ospedale comunica che, dall’inizio del mese di novembre, sono stati individuati 16 casi di positività al covid-19 tra medici ed infermieri (sul totale di circa 850 dipendenti)”.

Ma lo stesso Zappia, riprende la questione e sottolinea che “il numero dei pazienti contagiati non superava di molto la decina. Erano contagi a macchia di leopardo e significa che non è un cluster localizzato. Macchia di leopardo significa che non sono persone individuate nello stesso ambiente o nella stessa tipologia lavorativa, nel senso che li hanno trovati in reparti diversi”.

“Ho visto anche delle polemiche per il fatto che l’hanno portata da fuori o da dentro –continua – ma non possiamo accusare una persona perché è positiva, penso che non sia una colpa o un reato”.

“Noi non abbiamo individuato un reparto o un servizio – dice il Commissario dell’Asp – dove tutti siano positivi, per cui lo riconduciamo ad un gruppo di persone dello stesso ambiente lavorativo, ma sono uno in medicina, uno in chirurgia, uno in neurologia e uno al laboratorio. Sono quasi sicuro che l’hanno preso da fuori. Non penso che serva a nessuno fare una polemica del genere”.

Ma l’aumento esponenziale dei casi nell’agrigentino impone a diversi cittadini a sottoporsi al tampone.
Nei giorni scorsi alcuni utenti hanno lamentato sui social gli assembramenti che si erano creati davanti la tensostruttura dell’ospedale.

“L’asp – spiega Zappia – si sta attrezzando per fare un drive in, i tamponi ci sono per tutti e cercheremo di moltiplicare anche i siti per diminuire le attese. Ci sono dei sindaci che si sono mossi in anticipo. Io non ho il personale per fare tutti e 43 i comuni in un giorno, quindi li ho dovuti mettere in fila. Inoltre abbiamo avuto delle indicazioni regionali che ci dicono di partire con i comuni grossi come Sciacca, Canicattì, Agrigento e Licata, ma raggiungeremo anche gli altri”.

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