Avevo la “mente oscurata” e “non so spiegare cosa è successo”, ma sicuramente “non volevo uccidere mio figlio, non ho mai pensato di ucciderlo” perché “io lo amavo”.

Così, nell’interrogatorio davanti ai Pm, la 26enne arrestata dalla polizia a Catania con l’accusa di avere ucciso il bambino di tre mesi scaraventandolo a terra. Ai magistrati, ricostruisce il suo legale, l’avvocato Luigi Zinno, la donna ha detto di “essersi sentita male” e che la sua intenzione era di “gettarlo sul letto e non per terra”.

L’omicidio è stato commesso in casa della nonna paterna della 26enne che non è sposata e che al figlio aveva dato il proprio cognome. E’ stata lei stessa, rivela il suo legale, l’avvocato Luigo Zinno, a chiamare aiuto. Sono arrivati subito sua nonna, che ha 85 anni, e suo padre e a loro ha detto che il piccolo gli era scivolato dalla mani ed era finito a terra.

“Quel giorno stava male – aggiunge il penalista – e aveva chiamato suo padre, che era al lavoro, per dirgli se poteva tornare a casa. La signora aveva avuto un’infanzia dolorosa per la morte della madre, che ha perso quando aveva 11 anni. Quando è rimasta incinta è andata a vivere con la nonna”. Secondo l’avvocato, la 26enne ha sofferto di “una grave forma di depressione post partum, che ha aggravato la sua condizione di persona fragile psicologicamente”. Per questo il padre le aveva fissato degli incontri con specialisti, ma lei non sarebbe andata.

La donna “non evidenzia alterazioni delle funzioni cognitive”, ma, di contro, “l’affettività appare molto disturbata”. E’ quanto emerge da una prima, e non esaustiva, consulenza neuropsichiatrica sulla donna disposta dalla Procura di Catania in cui si sottolinea anche la “necessità di cure e contenimento opportuni per prevenire peggioramenti e complicanze”. Nell’indagata, si legge nella consulenza, è “presente uno stato depressivo espresso con inibizione psicomotoria, appiattimento emotivo e assenza di risonanza emotiva alla realtà circostante”. Ed è per questo che “sollecitata sui vissuti di madre” la 26enne fornisce “risposte stereotipate senza alcuna coloritura affettiva” e “non manifesta disperazione per la perdita o per la colpa”.

“Una tragedia come quella accaduta a Catania che vede protagonisti un bambino di tre mesi e la sua mamma ci deve far riflettere sulla necessità di creare una rete di sostegno e protezione nei confronti di tutti i nuovi nati e dei loro genitori”. Lo afferma, in una nota, Raffaela Milano, di Save the Children.
“C’è bisogno di garantire – aggiunge – un’offerta attiva che parta ancora prima della nascita e di un monitoraggio strutturato da parte dei servizi sociali e sanitari per non lasciare le famiglie da sole a fronteggiare situazioni di disagio emotivo e psicologico che spesso provocano nei bambini conseguenze gravi e, in qualche caso, come questo, possono sfociare in un dramma”. Al di là di quanto verrà accertato dalle autorità competenti in merito alla tragica vicenda di Catania, va considerato che la depressione post partum, – spiega Save The Children – come si evince dai dati del Ministero della Salute, colpisce tra il 7% e il 12% delle neomamme in Italia ed esordisce generalmente tra la sesta e la dodicesima settimana dopo la nascita del figlio. Tuttavia, i sintomi sono diagnosticabili già durante la gravidanza. “Esperienze come le visite domiciliari (l'”home visiting”) e le ‘dimissioni protette’ delle mamme dopo il parto per garantire una presa in carico integrata da parte dei diversi servizi, sociali, sanitari e di sostegno psicologico, – sottolinea Raffaela Milano – devono diventare la norma. Ề infatti paradossale che in un Paese dove nascono sempre meno bambini non vengano ancora garantite in modo omogeneo e continuativo tutte le misure nazionali di sostegno e protezione per tutti gli aspetti, non solo clinici ma anche psico-sociali, relativi ai primi mille giorni di vita. Ề dunque urgente una azione, che da tempo sollecitiamo, – conclude – da parte del Ministero della Salute e delle Regioni per la effettiva messa in pratica di tali misure”.