Sarebbero i referenti in Sicilia della mafia internazionale che si occupa della tratta dei nuovi schiavi. In cinque sono stati arrestati dalla squadra Mobile di Catania in una indagine coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia in ritenuti quanto responsabili, a vario titolo, in concorso con altri soggetti allo stato non identificati in Nigeria e in Libia, dei delitti di tratta di persone pluriaggravata (dalla transnazionalità del reato, dall’aver agito in danno di minori, di aver esposto le persone offese ad un grave pericolo per la vita e l’integrità fisica facendo loro attraversare il continente di origine sotto il controllo di criminali, che le sottoponevano a privazioni di ogni genere e a diverse forme di violenza, facendole giungere in Italia via mare a bordo di imbarcazioni occupate da moltissimi migranti, esponendole ad un altissimo rischio di naufragio), dei delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina pluriaggravato nonché di sfruttamento della prostituzione.

L’indagine trae origine dalle dichiarazioni rese da una giovane cittadina nigeriana da “Ola” (nome di fantasia, n.d.r.) la quale, reclutata nel paese di origine, giunta in Italia quale minore straniera non accompagnata, veniva destinata al meretricio e, dopo diversi mesi di sfruttamento, riusciva a sottrarsi ai propri trafficanti successivamente identificati negli indagati Susan Elaho, Naomi Ikponwmasa, Lawrence Ogbomo.

Dal dettagliato racconto della giovane si comprendeva che quest’ultima era oggetto di una più ampia operazione economica realizzata da due sorelle, le cittadine nigeriane Susan Elaho, Naomi Ikponwmasa, le quali ormai residenti in Italia da diversi anni, avevano avviato una fiorente attività economica nel settore della tratta di esseri umani facendosi coadiuvare da Lawrence Ogbomo: le due donne, grazie ai correi in Nigeria e Libia, reclutavano giovani connazionali nel paese di origine da adibire al mercato della prostituzione su strada, appropriandosi dei loro guadagni, percepiti grazie anche alla forza intimidatrice del rito voodoo cui facevano sottoporre le vittime prima della partenza; Lawrence Ogbomo, dimorante a Tivoli, prestava loro un contributo essenziale occupandosi del prelievo delle ragazze dalla strutture ove venivano collocate all’arrivo, dell’avvio dell’iter burocratico per il rilascio del permesso di soggiorno per poi trasferirle alle due sorelle dimoranti in Catania.

Dal racconto di “Ola” emergeva che la giovane aveva viaggiato ed era giunta in Italia unitamente ad un’altra ragazza chiamata “Musa” (nome di fantasia, n.d.r.) anch’essa vittima degli stessi trafficanti e secondo le medesime modalità: Musa veniva successivamente identificata e rilasciava dichiarazioni di tenore analogo a quelle fornite dalla compagna di viaggio.

Veniva, quindi, iniziata una intercettazione sull’utenza che, oltre a consentire di acquisire ulteriori elementi a sostegno delle dichiarazioni rese dalla minore “Ola” (un compendio talmente vasto da consentire anche di prescindere dalle dichiarazioni delle due ragazze), permetteva di entrare all’interno del mercato della prostituzione nigeriana su strada lungo la SS.385: “Musa” infatti, era in contatto con numerose prostitute, molte delle quali vittime (e per tre di esse, due maggiorenni ed una minorenne-immediatamente collocata in struttura protetta dalla Squadra Mobile di Catania- risultava possibile ricostruire esattamente il percorso di tratta che le aveva portate a Catania, dal reclutamento in Nigeria sino all’immissione sul mercato della prostituzione catanese) ed altre, invece, madame e, soprattutto era in contatto con un uomo chiamato “Christ” o “Ehis” identificato poi in Ehimwenma Osagie, considerato un personaggio di tutto rilievo nel settore in questione; il predetto, oltre ad occuparsi personalmente di tratta di esseri umani (avendo trasferito alcune connazionali in Italia allo scopo di destinarle alla prostituzione), aveva anche il controllo delle postazioni lavorative delle prostitute in un preciso tratto della SS.385 ed amministrava dette postazioni, concedendone il godimento a varie prostitute in cambio di un corrispettivo mensile pari a circa 100 euro, facendosi coadiuvare in tale attività da sue vittime di tratta o da altre prostitute vittime di tratta ad opera di altri trafficanti ma che avevano “affittato” la sua postazione lavorativa (prostitute che, con ciò stesso, effettuavano una sorta di progressione in carriera e tuttavia: senza perdere il proprio status di vittime di tratta, dovendo pertanto pagare il proprio debito di ingaggio; senza avere alcun ritorno economico dall’ausilio prestato a Christ).

Tutti ora si trovano in carcere fra Piazza Lanza a Catania e le carceri romane di Rebibbia e Regina Coeli