A Catania per commemorare i 10 anni dalla morte dell’ispettore Filippo Raciti, il capo della Polizia, Franco Gabrielli affronta il tema della sicurezza in città anche alla luce delle recenti aggressione subite da alcuni medici in servizio nei pronto soccorso catanesi.

“Io credo che noi non possiamo immaginare di mettere un poliziotto o un carabiniere ad ogni angolo di strada – ha detto il prefetto Gabrielli – ci deve essere un concorso da parte di altri soggetti che, come avviene in altre realtà del Paese, concorrono alla sicurezza e quindi far sì che anche i Pronto Soccorso siano in qualche modo luoghi sicuri”.

Gabrielli ha risposto così ai giornalisti che gli chiedevano della possibilità di ripristinare a tempo pieno i posti fissi di Polizia negli ospedali.

“Su questa vicenda catanese del Pronto soccorso – ha spiegato Gabrielli – si é fatta anche una certa narrazione, addirittura si é detto che la Polizia abbia invitato il medico ad andare via e lo stesso medico ha smentito questa cosa. Anche qui dobbiamo trovare un punto di caduta in cui noi facciamo il nostro lavoro, ma anche l’informazione fa al pari suo, sottolineando le negatività ma non necessariamente amplificando che cose che magari poi non ci sono. Ormai in gran parte delle realtà del Paese molte di queste attività vengono svolte dalla vigilanza privata anche perche’ la Polizia e l’Arma dei Carabinieri sono strutture non illimitate, peraltro in questi anni hanno patito significative riduzioni di organico dovute al blocco del turn-over ed ad una progressiva senilizzazione”.

Gabrielli ha anche ricordato che il 17 febbraio ricorre il venticinquesimo anniversario dell’arresto di Mario Chiesa, data simbolica dell’avvio dell’inchiesta ‘Mani Pulite”.

“L’attenzione dev’essere ad ampio spettro. Ci devono essere gli strumenti normativi, i soggetti che sono preposti ai controlli ma anche su questo il tema culturale, quello di far capire che in fono chi viola la legge, chi si appropria del denaro pubblico non è più furbo degli altri ma è semplicemente un delinquente e come tale va marginalizzato, credo che più che un tema giudiziario sia un tema culturale e su questo il nostro Paese forse, al pari della violenza nelle manifestazioni sportive, un tratto significativo di strada lo deve ancora percorrere”.

“Parto sempre dal presupposto – ha aggiunto Gabrielli – che alcuni fenomeni attengono alla nostra natura. La criminalità non finirà, la corruzione non finirà. Credo invece che bisogna  mettere in campo tutta una serie di azioni che limitino fortemente queste patologie perché la natura umana è fatta così. Laddove c’è la possibilità di conseguire un profitto, a volte anche in maniera più immediata, ci sarà perché la corruzione esiste in tutti i Paesi del mondo. Ovviamente la differenza la fa l’indice della patologia. Ci sono Paesi in cui la corruzione purtroppo ha livelli molto significativi e altri dove rientra in una fisiologia assolutamente governabile”.

br-far