La riforma costituzionale riguarda uno Stato di cui facciamo parte ma nel quale non ci riconosciamo. L’Italia è libera di decidere la sua forma di governo purché rispetti (cosa che ora non fa per nulla) l’Autonomia speciale della Sicilia. Rileviamo che questa ‘riforma’, come la precedente sulla riduzione del numero dei Parlamentari, con il pretesto della governabilità, scivola sempre più verso forme di governo plebiscitarie e quindi non realmente democratiche. La formula ‘simul stabunt simul cadent’ è già stata sperimentata con insuccesso in Sicilia, dove i parlamentari approvano qualunque cosa pur di non perdere il seggio. Del resto anche oggi è così, e anche oggi la caduta libera delle istituzioni democratiche italiane è tale da non aver impedito che l’espressione parlamentare dei governi si sia tradotta in una pura accettazione dei ‘commissari’ nominati di volta in volta da Bruxelles. Con questa riforma, punto a favore questo, Bruxelles dovrà imporre le proprie politiche a un Presidente eletto, anziché a un Presidente commissario, ma non ci illudiamo che nella sostanza cambi molto. Unico aspetto realmente positivo è l’abolizione dei senatori a vita, fossile del Regno d’Italia che ha fatto il suo tempo e che si è dimostrato solo un modo per alterare il normale gioco politico da parte dei Presidenti della Repubblica, i quali nel tempo hanno sempre più nominato senatori ‘politici’ e sempre meno ‘personalità pubbliche’. Nel complesso quindi la riforma ci deve vedere diffidenti e neutrali.
Questo contenuto è un comunicato stampa. Non è passato dal vaglio della redazione. Il responsabile della pubblicazione è esclusivamente il suo autore.
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