Un altro spettacolo per Roberto Andò: Storia di un oblio è un intenso e drammatico monologo di Laurent Mauvignier che debutta nella Sala Strehler del Teatro Biondo di Palermo mercoledì 12 febbraio alle 21. Attore protagonista sarà Vincenzo Pirrotta, i costumi sono di Riccardo Cappello, il suono e le luci Michele Lavanga. Repliche fino al 23.

Prodotto da Società per Attori e Accademia Perduta – Romagna Teatri, in collaborazione con il Teatro Stabile di Catania, lo spettacolo racconta la terribile stoPria, realmente accaduta, di un giovane uomo pestato a sangue dai vigilantes in un supermercato, all’interno di un grande centro commerciale di una città francese, per aver rubato una lattina di birra.

Questo scarno fatto di cronaca è raccontato da Mauvignier in un lungo monologo, una sola frase che ricostruisce la mezz’ora in cui è insensatamente racchiusa la tragica fine di un uomo. Un abuso di potere cieco e spregevole, che richiama alla mente analoghi episodi della recente storia italiana.

Quel che io chiamo oblio è il titolo originale di questo testo scritto in un’unica frase, senza un vero inizio, senza una vera fine, senza punteggiatura ma con un crescendo emozionante che risveglia sentimenti di pietà e indignazione.

“Tre anni fa – racconta Andò – ho letto il testo di Laurent Mauvignier e ho pensato subito che era scritto in una lingua vocata al teatro. Storia di un oblio è un canto a più voci, ma è concepito per una sola voce. Un canto che Vincenzo Pirrotta intona a nome di ognuno di noi, conducendoci in quella zona dolorosa e opaca in cui ogni essere umano è destinato a sparire e a essere dimenticato. La scrittura di Mauvignier circoscrive luoghi indicibili dell’esperienza, quei luoghi della memoria o della coscienza che resistono alle parole. A questa resistenza Mauvignier contrappone l’esattezza della parola, il suo potere evocativo e catartico. Mi è sembrato che “Storia di un oblio” fosse un testo che oggi potesse trovare un senso speciale presso il pubblico teatrale. Dopotutto il teatro è da sempre racconto di una esperienza, anche della più oscura e irraccontabile, come appunto è oscura e irraccontabile l’incongrua uccisione di un uomo da parte di quattro vigilanti e il tentativo di restituirle un senso da parte di chi resta. La parola di Mauvignier sfida l’indulgenza dell’autocoscienza e la retorica sentimentalistica della cronaca a buon mercato, riuscendo a dar voce alla sofferenza e alla solitudine che segna la vita delle persone”.