“Sono stato dipinto come pericoloso, ma non c’è assolutamente alcuna attinenza temporale tra l’acquisizione del patrimonio e questa presunta pericolosità”.

Lo afferma in una lunga nota Calcedonio Di Giovanni, 73 anni, imprenditore originario di Monreale, nel palermitano, ma con interessi economici nella provincia di Trapani a cui ad aprile la Dia ha confiscato in via definitiva beni per un valore di 100 milioni di euro che sono passati allo Stato.

“Preliminarmente vorrei fare qualche breve, ma importante, precisazione in merito all’esatta entità del patrimonio oggetto di confisca – aggiunge l’imprenditore -. Nel 2014 era stato quantificato in 450 milioni di euro dalla Dia, per poi essere comunicato, nel 2016, di “soli” 100 milioni. Ritengo, però che vada reso noto il reale ammontare del patrimonio immobiliare in poco più di 10 milioni di euro.

Una stima effettuata non da me, ma dal dottore commercialista Luigi Antonio Miserendino e dall’avvocato Roberta Paderni, vale a dire i due professionisti nominati dal tribunale per la gestione giudiziaria del sequestro nell’aprile 2015. Di questi 10 milioni di euro, peraltro, il valore reale non supera i 4, dal momento che, ad oggi, una sola società è attiva, la “Compagnia Immobiliare del Titano”.

Le altre sono tutte in liquidazione o fallite”. “Quanto alla mia presunta vicinanza o ‘contiguità’ con la mafia, affermo di non aver mai avuto alcun rapporto con essa e che questa possa essere catalogata come un romanzo, dal momento che non sono mai stato indagato per mafia, accusato, né tantomeno imputato di nulla”, sostiene Di Giovanni.

“Ero un imprenditore valente ed affermato già nel 1969, che agiva assieme ad altri, in un gruppo solido e ben avviato con capitale sociale di 100 milioni di lire che per i tempi (1972) erano una cifra considerevole, tanto da poter lasciare l’impiego direttivo regionale. Non ero un personaggio oscuro, ma un personaggio pubblico, noto soprattutto a Mazara, dove ero pure il presidente della squadra di calcio nel 1973-74”, osserva. “Nel 1974 ho avuto rapporti con Roberto Palazzolo, che in quel tempo non era mafioso, attraverso la ‘Campobello Park Corporation’ di cui era presidente. Poi dopo circa 20 anni Palazzolo diventò un trafficante di droga e diamanti in Sudafrica, ma non ha più rimesso piede in Sicilia e io non l’ho mai incontrato”, sostiene.

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