Sarà presentato questa sera alle ore 18.45, nel teatro dell’Istituto Sant’Orsola, in Via Macallè, 3 a Catania, il libro “Qualcosa di prezioso che accade. La Missione di Speranza e Carità raccontata da Biagio Conte a Francesco Inguanti” (People & Humanities 2017).

Ne parleranno Antonio Di Grado, docente di Letteratura Italiana nell’Università degli Studi di Catania, e Don Massimo Naro, docente nella Facoltà teologica di Sicilia di Palermo. Modererà Alfio Pennisi, presidente del Centro Culturale di Catania, che ha promosso l’iniziativa, unitamente alla casa editrice People & Humanities e alla Fondazione Sant’Orsola.

Il testo, accompagnato dalle presentazioni del Cardinale Paolo Romeo e dell’Arcivescovo di Palermo Corrado Lorefice, raccoglie quattro interviste rilasciate da Biagio Conte a Francesco Inguanti nel corso degli ultimi due anni su aspetti particolarmente significativi della sua vita e della Missione di Speranza e Carità, che da oltre 25 anni raccoglie e assiste in tre strutture a Palermo circa 1.000 persone in gran parte immigrati.
Biagio Conte ha concluso proprio alcune settimane fa un lungo viaggio a piedi che lo ha portato ad incontrare miglia di persone, prima in Sicilia e poi in tutt’Italia, passando per Roma, dove ha incontrato il Papa, poi per le zone terremotate del centro Italia, fino a raggiungere l’Alto Adige, e poi Milano e Torino.
In questo lungo pellegrinaggio è stato accompagnato da vari collaboratori e volontari della Missione: per ultimo fratello Davide che lo ha seguito negli ultimi mesi fino al suo imbarco da Genova verso Palermo.
Proprio a lui, che sarà presente all’incontro di questa sera, abbiamo chiesto di spiegarci le ragioni di questo viaggio.

“Le ragioni del viaggio – ha detto – sono racchiuse nelle parole testimonianza e missione quelle che Fratel Biagio ha ribadito in tutti gli incontri che abbiamo fatto. Ma il resto va chiesto a lui”.

E tu come lo hai vissuto e perché lo hai accompagnato?

“La scelta di non lasciarlo solo in questi quasi due anni di cammino è stata presa in Missione e in questo accompagnamento ci siamo alternati in tanti per il bene comune. Io ho avuto la grazia di attraversare con lui la Sardegna e di compiere l’ultima parte, quella che si è snodata nelle regioni dell’Italia Settentrionale”.

E che tipo di esperienza hai fatto?
Si è trattato di un mix di forte spiritualità accompagnata dalla concretezza dei rapporti nati nel corso degli incontri? Puoi spiegare meglio?

“Le giornate, tutte affrontate senza alcuna precisa e dettagliata programmazione, si svolgevano tra i numerosi momenti di preghiera sia lungo il cammino che negli incontri con i gruppi di fedeli che ci venivano incontro, sia negli incontri casuali con quanti incontravamo lungo il percorso. Quindi molta preghiera, ma anche molta disponibilità all’ascolto dei tanti casi umani in cui ci siamo imbattuti”.

Quindi vi muovevate senza una precisa meta?

“Sapevamo ogni giorno dove ci saremmo recati l’indomani, mai con certezza, tenuto conto che potevamo fare fino a un massimo di 30-35 Km a piedi, ma molti percorsi sono stati scelti sul momento in base agli incontri e alle richieste che ci pervenivano”.

E quindi, giunti in un paese o in una città, cosa facevate?

“Per prima cosa andavamo nella chiesa madre o nella cattedrale per incontrare il parroco e partecipare alla S. Messa e poi quanti erano sul posto o quanti venivano richiamati dalla sua presenza”.

E se la chiesa era chiusa o il parroco assente?

“Ci rivolgevamo ai presenti che ci hanno sempre accolto con generosità Una volta ricordo siamo stati ospitati anche da una famiglia di fede islamica che ci ha voluto a cena e a dormire da loro”.

E gli incontri come si svolgevano?

“All’insegna della spontaneità. La preoccupazione di Fratel Biagio era una sola: ridare vigore alla speranza che viene dal Signore e invitare tutti a contribuire al cambiamento attraverso la personale responsabilità”.

Ma si è saputo che non sempre l’accoglienza è stata cordiale e affettuosa?

“Come dice Fratel Biagio se è accaduto a Gesù stesso e ai discepoli che spesso sono stati fraintesi e allontanati, perché non doveva succedere a noi? Ma molti di questi casi derivavano dalla mancanza di conoscenza della figura e dell’opera di Biagio. Nel coso del cammino si sono creati gruppi di Facebook o di WhatsApp che ci hanno accompagnato e preceduto e molti equivoci sono stati eliminati alla radice. E poi eravamo assistiti dalla provvidenza”.

Che c’entra la provvidenza?

“Nello zaino che portavo in spalla c’era solo l’essenziale. Non avevamo cibo con noi, solo un po’ di biancheria personale. Tutto era affidato alla generosità di coloro che avremmo incontrato. E mai, anche quando sembrava che dovessimo saltare l’unico pasto che facevamo ogni sera, ci siamo trovati senza cibo. Quasi sempre siamo stati accolti nelle parrocchie o da qualche fedele. E quando non è accaduto ci siamo sistemati all’aperto davanti la porta della chiesa del paese. E tutto è andato sempre per il meglio”.

Ci sono stati incontri più significativi o particolari?

“Tutti. Uno degli ultimi è stato quello che alle porte di Torino che ci ha concesso di avere una copia del libro intervista che Fratel Biagio non aveva ancora avuto, essendo partito prima della sua pubblicazione”.

E come è andata?

“Fratel Biagio era avanti a ci stavamo intrattenendo con alcuni operai a bordo della strada. Come altre volte un giovane mi viene incontro, ma con un libro in mano che subito ho riconosciuto e al quale avevo pensato pochi minuti prima. Nel frattempo anche Fratel Biagio è tornato indietro”.

E poi?

“E poi si è presentato. Era il nipote dell’autore che è di origini catanesi ma abita a Torino da tempo. Era stato allertato della possibilità di incontrare Fratel Biagio. E la provvidenza ha voluto che l’incontro avvenisse in modo certo inatteso. Fratel Biagio è stato molto contento anche perché attendeva questo momento”.

Ed ha letto il libro?

“Non ce ne è stato il tempo. Nel pomeriggio abbiamo incontrato Ernesto Olivero al quale è stato donato. E così Fratel Biagio ha dovuto attendere il ritorno a Palermo per iniziare a leggerlo”.

Ma le cronache hanno riportato anche di qualche incontro meno piacevole, come quello accaduto nel Duomo di Monza. Cosa è successo?

“Forse la stampa, che non abbiamo visto ovviamente, ha ingigantito l’evento. Non essendo attesi c’è stato un po’ di equivoco iniziale, puntualmente raccontato ai giornali. Ma bene presto si è costituito un capannello di fedeli i quali riconosciuto Fratel Biagio si sono fermati lungamente con lui. Ma forse di questo non c’è stata traccia sulla stampa e così i titoli l’hanno fatta da padrone, come ci hanno poi riferito”

Ed altri fatti significativi?

“Tanti. Una sera abbiamo rischiato di saltare la cena e di dormire in un bosco. Ma poi insperati e inattesi ci sono venuti incontro alcuni boys scout che ci hanno rifocillati e accolti. Un’altra volta l’equivoco è sorto con alcuni esponenti delle forze dell’ordine, che non sapevamo chi fossimo. Ma poi con una telefonata a Palermo tutto si è risolto per il meglio. Ma questo in fondo è folklore. Quello che conta è altro”.

E cosa?

“Che il messaggio di pace e speranza che Fratel Biagio porta anche nei luoghi più sperduti trova accoglienza. Posso testimoniarlo personalmente. Tanti, forse tutti, attendono e anelano ad un futuro migliore. Biagio afferma con la sua persona che questo è possibile attraverso la croce strumento concreto e visibile, non di morte ma di resurrezione. E questa è per me la fida del mondo di oggi. Dobbiamo impegnarci tutti per ritornare a Dio e al prossimo”.

Ed ora, tornato a casa?

“Ora è già ripresa la vita in Missione, sempre carica di impegni e responsabilità. I bisogni sono tanti, sia materiali che spirituali. Vediamo attorno a noi tanta gente disposta ad aiutarci e tante sono le persone che danno parte del loro tempo in questa opera. Ma anche i bisogni aumentano. Per questo motivo la nostra fiducia nella Provvidenza divina aumenta di giorno in giorno”.