Grido di allarme dei medici e degli infermieri del 118. Dopo la foto dell’infermiera che dopo ore di lavoro era crollata stremata nell’ambulanza adesso un altro medico in servizio nelle ambulanze lancia l’allarme.

“Queste sono ambulanze ferme da molte e sottolineo molte ore in attesa al pronto soccorso di Partinico, sì Partinico perché gli ospedali palermitani, quindi il ‘Cervello’, il ‘Civico’, non avevano posti per accettare pazienti…”.

E’ lo sfogo di un giovane medico palermitano, Luca Re, 34 anni, ogni giorno come altri suoi colleghi impegnati nella volenterosa e sfiancata trincea sanitaria. Parole che danno forse il senso dello scenario di fondo che ha precipitato la Sicilia nella zona arancione.

Il medico spiega che ieri dentro quelle ambulanze in fila davanti al Covid-hospital di Partinico “c’era un soccorritore, in alcune ambulanze anche due soccorritori, vestiti con tuta, guanti, doppia mascherina, calzari o stivali che magari ha dovuto scendere così vestito un paziente per le scale. Nonostante la stanchezza si è dovuto mettere alla guida per portare a destinazione il paziente che aveva bisogno di cure, e tutto sudato, con l’aria che manca dentro queste tute, aspetta il proprio turno per adagiare il paziente in un altra barella”.

E una volta libera quella barella, spiega Luca Re, ci si deve rimettere in moto senza toccarsi il viso, stando attento ai movimenti da fare per non strappare la tuta, per andare in un altro ospedale di Palermo, la Casa del Sole: “48 km interminabili sperando non ci sia molto da attendere per potersi spogliare in sicurezza”.

Nel vano sanitario, continua, “ci sta il paziente, impaurito per quello che lo aspetta che magari fa fatica a respirare e pensa preoccupato anche ai propri familiari e spesso preoccupato anche per tutti noi; insieme a lui ci sta un infermiere e un medico, anche loro vestiti di tuta doppia, mascherina, calzari, guanti, che cercano in tutti i modi possibili di aiutare il paziente con ossigeno e farmaci e cercano di consolarlo tranquillizzarlo magari distrarlo, facendo raccontare qualcosa della sua vita dei suoi figli dei suoi nipoti e rendere l’attesa il meno traumatizzante possibile…”.

Una volta ‘consegnato’ il paziente ci si dirige verso quei 48 chilometri, “impazienti di spogliarci, impazienti di bere un goccio di acqua impazienti di asciugarci e toglierci la maglietta bagnata di sudore impazienti anche noi di respirare”.

Scandisce il giovane medico: “Non siamo eroi, non vogliamo esserlo. facciamo davvero il nostro dovere di medici soccorritori infermieri al servizio della comunità. I veri eroi sono i nostri figli, mogli, mariti, papà, mamma, che a ogni turno ci aspettano, alla fine di ogni turno ci accolgono pur sapendo il rischio che corriamo quotidianamente, che ci supportano quando siamo stanchi nervosi provati”.

I veri eroi, spiega, “sono tutti quelli che stanno combattendo e resistendo nonostante le difficoltà, facendo enormi sacrifici, con le proprie attività, bar, ristoranti palestre, e capisco che queste restrizioni sono una ennesima richiesta di pazienza e di forza, ma davvero noi siamo distrutti esausti e la nostra sanità è quasi al collasso… e non esiste solo il Covid. Non possiamo trascurare il resto. non vogliamo”.