Recuperare e valorizzare il culto dei morti è uno degli obiettivi principali della mostra “Ars Moriendi”, che è stata inaugurata l’1 novembre presso la cripta della Chiesa di S. Maria del Piliere e che resterà aperta al pubblico fino al 25 novembre. “A Palermo il culto dei morti – afferma Pamela Bono, curatrice della mostra e artista – non è così sentito come negli anni passati. L’idea della mostra è proprio quella di destare un interesse maggiore, anche riallacciando il culto siciliano con quello messicano, nell’intento di non abbandonare il legame tra la vita e la morte”.

L’installazione, infatti, intende unire due luoghi molto distanti fra loro, ma vicini soprattutto nelle tradizioni che riguardano il ricordo dei cari defunti: la Sicilia e il Messico. “Ci sono molti elementi di continuità – spiega l’artista Pamela Bono – a cominciare dalla data di festeggiamento dei morti, che anche in Messico è il 2 novembre. Il rapporto tra i vivi e i morti anche lì è innalzato a livello culturale, e poi si possono trovare similitudini rispetto al cibo, all’abitudine di regalare giocattoli ai bambini, all’uso di realizzare scheletrini, molto simili ai siciliani pupi di zucchero”.

L’iniziativa è inoltre correlata all’attività di restauro del Crocifisso in cartapesta, risalente alla fine del XVI e inizio del XVII secolo, presente nella cripta, portata avanti da Vittoria Naselli, presidente dell’associazione Officine dell’Arte, da cui parte l’idea della mostra: “La nostra associazione promuove la divulgazione delle forme di arte tramite eventi che coinvolgono artisti siciliani al di fuori dei soliti circuiti, per crescere attraverso le collaborazioni. Il restauro del crocifisso della cripta prevede un cantiere aperto, in modo da rendere parte attiva dei lavori la stessa cittadinanza”.

In esposizione le opere di nove artisti siciliani: Pamela Bono, Ciro Calì, Andrea Fedele, Giovanna Filippone, Jojaska, Gisella Leone, Gemma Lo Bianco, Vincenzo Lo Piccolo e Ylenia Marino. L’installazione polimaterica proposta da Pamela Bono, dal titolo “Finché morte non ci separi”, presenta due mani di cartapesta congiunte di due giovani nell’atto di sposarsi, riprendendo l’idea di un sentimento che vive indipendentemente dalla morte: “Mi sono ispirata all’esperienza di chi si separa dal proprio compagno defunto, per dimostrare che il legame tra le persone non finisce con la morte fisica, perché l’anima vive in eterno”.